Global Warming, a che punto siamo?
Nuovo studio pubblicato su Nature racconta perché siamo ancora molto lontani dall'obiettivo di non superare i 2°C di aumento di temperatura
ATTUALITÀ – Quello che stiamo facendo per combattere il riscaldamento globale non basta. Per raggiungere l’obiettivo di non superare i 2°C di aumento della temperatura nei prossimi anni bisogna fare di più, ma le strategie necessarie sono complesse, come per esempio l’importanza di trasferimenti di fondi tra paesi poveri e ricchi per distribuire i costi in maniera finalmente equa. Questa volta i protagonisti dell’economia mondiale si sono riuniti a Lima, in Perù, in occasione dell’incontro internazionale Lima call for climate action, per discutere ancora una volta di global warming, di strategie, di investimenti, di prospettive e di pericoli.
Quello che hanno prodotto è la quinta bozza del testo Further Advancing the Durban Platform, che raccoglie le ultime considerazioni in vista dell’accordo della COP21 di Parigi, con gli impegni da qui al 2020 e quelli più a lungo termine. In particolare contiene la questione degli impegni finanziari, fra cui spiccano gli oltre 10 miliardi di dollari raccolti nell’ambito del Fondo Verde per il Clima, lanciato a Copenhagen, che collocano il fondo al primo posto fra i finanziatori sulla scena. Da quello che si apprende sull’incontro, pare che la soddisfazione per l’esito delle trattative sia stata parecchia, e abbia dimostrato che l’impegno per combattere il riscaldamento globale sia condiviso da tutte le potenze mondiali. Questo entusiasmo però non significa che siamo messi bene.
Proprio ieri infatti su Nature Cimate Change è stata pubblicata una delle valutazioni più ampie mai realizzate fino ad oggi sull’argomento, una delle raccolte più complete delle tempistiche e delle quantità di emissioni di gas serra per ciascuna delle principali economie mondiali, considerando sia gli impegni che gli scenari che possono limitare il futuro aumento della temperatura a 2°C e che sono attualmente in discussione. Lo studio vede come primo autore proprio un italiano, Massimo Tavoni, della Fondazione Enrico Mattei.
Lo scenario mondiale dipinto in questo studio non è affatto confortante. Certo, gli impegni attuali rappresentano per lo meno un passo in avanti, ma il salto che bisogna compiere ora è enorme. Il gruppo ha preso in considerazione diversi scenari, come per esempio delle proiezioni di che cosa accadrebbe se non si attuasse nessuna nuova politica nei prossimi anni e cosa succederebbe invece se decidessimo di intervenire per raggiungere concretamente l’obiettivo di non aumentare la futura temperatura del pianeta oltre i 2°C. Il risultato, secondo i ricercatori, è netto: quelle messe in atto fino ad oggi sono iniziative insufficienti per rispettare il limite dei famosi 2°C.
Ridurre la corsa del riscaldamento globale significa prima di tutto abbattere la produzione di gas serra. Con il passare dei decenni da che si è cominciato a parlare di riscaldamento globale molti sono gli scenari elaborati su come questa azione può essere possibile e per quantificare la soglia da non superare. I due più noti sono il New Policies Scenario e lo Scenario 450. Il primo, usato solitamente come riferimento dall’International Energy Agency (IEA), tiene conto degli impegni di massima delle politiche internazionali, il secondo invece identifica un percorso energetico coerente proprio con l’obiettivo di limitare l’aumento globale della temperatura a 2°C, limitando la concentrazione di gas serra in atmosfera di circa 450 parti per milione di anidride carbonica.
Per elaborare questo nuovo scenario invece, il team di Tavoni ha utilizzato ben sei diversi modelli di analisi, paragonando fra loro i risultati, esaminando la situazione regione per regione e raccogliendo informazioni chiave per tutte le principali economie mondiali, fra cui gli anni in cui si sono rilevati picchi di emissioni e le quantità di carbonio a livello regionale. Questo con lo scopo di evidenziare le conseguenze distributive delle politiche climatiche, e discutere il ruolo dei mercati del carbonio per i futuri investimenti in energie pulite. “Il Quinto rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici dell’IPCC ha chiaramente evidenziato il livello di impegno globale necessario a stabilizzare il clima – racconta Tavoni –ma mancava completamente una valutazione quantitativa delle implicazioni su scala regionale delle politiche climatiche post-2020: è quello che emerge dal nostro studio”.
E ancora una volta il busillis della questione sono gli investimenti in tecnologie green, finanziamenti dell’ordine di 100-150 miliardi di dollari per ogni anno da qui al 2030. Inoltre, secondo i ricercatori, anche proventi fiscali provenienti da strumenti come una carbon tax potrebbero contribuire a coprire gli investimenti in energia pulita che oggi ci mancano.
Infine – sottolinea lo studio – il ruolo chiave quanto a riduzioni di gas serra sarà giocato dai paesi in via di sviluppo, come India e Cina. Stando agli attuali accordi, le emissioni cumulate della Cina dovrebbero infatti dimezzare, anche se in questo modo il totale delle emissioni delle economie asiatiche esaurirebbe da solo il budget ammissibile per rientrare nei 2°C, che corrisponde a circa 1000 Gt di CO2.
La strada che unisce Lima a Parigi sembra insomma un po’ più luminosa, ma è ancora piena di sfide. E la domanda “ce la faremo a rimanere al di sotto della soglia dei 2°C di aumento della temperatura nei prossimi decenni?” è ancora decisamente aperta.
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Crediti immagine: UNClimatechange, Flickr