GRAVIDANZA E DINTORNI – A proposito di nascite – Natale si avvicina! – c’è un certo filone di ricerca che si occupa di capire se l’arrivo di un figlio faccia o meno la felicità dei genitori. Tra gli ultimi a chiederselo sono stati i sociologi Mikko Myriskylä, della London School of Economics, e Rachel Margolis, della canadese Western University, nel tentativo di individuare altri fattori – oltre al lievitare dell’individualismo e alle difficoltà tutte femminili della conciliazione tra famiglia e carriera – che potrebbero giustificare la riduzione della fertilità che ha caratterizzato i paesi sviluppati a partire dagli anni novanta. In sostanza, il fatto che si facciano meno figli, sia perché li si fa più tardi (dopo i 30-35 anni), sia perché in media se ne fanno pochi. La risposta, apparsa su Demography, è un tutto sommato rassicurante “dipende”. Dal numero di figli e dal momento in cui arrivano. Così, se il picco di felicità è grande per il primo bambino, soprattutto se arriva dopo i 35 anni, con il secondo la gioia si attenua un po’, mentre con il terzo i sentimenti positivi non cambiano poi tanto, prima e dopo la nascita.
I dati analizzati da Myriskylä e Margolis per arrivare a queste conclusioni vengono da due ampi studi longitudinali di popolazione condotti in Germania e nel Regno Unito: in particolare, i ricercatori hanno preso in considerazione le autovalutazioni dei livelli di felicità e benessere in vari momenti della vita di circa 7000 coppie di genitori, seguiti per 10-12 anni in media. È emerso che la felicità dei neogenitori tende a salire molto nell’anno precedente e in quello successivo all’arrivo del primo figlio, per poi assestarsi o tornare a livelli simili a prima del lieto evento. Trend simile, ma più contenuto, per il secondo figlio, mentre con il terzo le variazioni di felicità parentale sono trascurabili. I picchi di gioia sono particolarmente elevati per i genitori con livello di istruzione più alto e per quelli che sono diventati tali a un’età più avanzata – tra i 35 e i 49 anni. I quali, per altro, tendono a rimanere felici anche molto più a lungo, in pratica per tutto il periodo studiato. I più giovani, tra i 23 e i 34 anni, sembrano invece provare un entusiasmo inferiore e meno durevole, considerato che la loro felicità torna a livelli preparto (se non a livelli inferiori) nel giro di uno-due anni. Per gli adolescenti – e non sorprende – la felicità invece diminuisce. Altri dati riguardano le differenze di genere nelle dichiarazioni di gioia: nelle donne il picco attorno alla nascita è maggiore, ma è maggiore anche la diminuzione di felicità passato l’entusiasmo iniziale. A lungo termine, invece, non ci sono differenze tra mamma e papà.
L’indagine non si preoccupa di indagare motivazioni personali alla base di questi dati, ma qualche considerazione può essere fatta comunque. «Per noi è stato interessante scoprire che i sentimenti positivi aumentano già prima della nascita, il che probabilmente dipende da quanto precede l’evento in sé» hanno dichiarato gli autori. «A contare non sarebbero solo l’anticipazione e l’attesa, ma anche la strutturazione del legame di coppia e, prima ancora, l’aumento dell’attività sessuale che potrebbe aver preceduto il concepimento». Per quanto riguarda il maggior benessere dichiarato dai genitori meno giovani, potrebbero esserci diverse spiegazioni possibili. Per esempio il fatto che le madri più avanti con gli anni hanno in genere rete sociali più stabili e una maggiore solidità economica alle spalle, che consentirebbero di ricevere più aiuti nella cura dei figli. E considerato che eventi negativi e dolorosi come aborti spontanei o morti fetali tendono a essere più frequenti con l’età materna, non è escluso che una felicità più grande derivi dal fatto di essere riusciti finalmente a stringere quel bimbo tanto desiderato. Per chi fosse preoccupato dal dato tiepido sul terzo figlio, nessuna paura: «Non significa che sarà un bambino meno amato» rassicurano i ricercatori. «Semplicemente, può essersi attenuato l’entusiasmo legata alla novità dell’evento. Oppure potrebbe comparire qualche elemento di stress in più, per la fatica extra che comporta l’arrivo – magari a sorpresa – di un nuovo membro della famiglia».
Dal punto di vista sociologico, la conclusione dello studio è che, in un’epoca di forte autodeterminazione, la riduzione della fertilità potrebbe dunque dipendere da fattori non solo oggettivi (come la mancanza di una situazione economica e professionale stabile), ma anche emotivi: se quando si è giovani avere un figlio non rende poi così tanto felici, perché averne anche altri? E se, guardandosi attorno, si osserva che i genitori più entusiasti sono quelli un po’ meno giovani, perché non aspettare?
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