La scienza (che non abbiamo visto) dietro a Eaten Alive
Un naturalista non è stato ingoiato da un'anaconda e lo show è stato un epic fail. Ma era davvero così inutile? Perché degli scienziati dovrebbero prestarsi a uno spettacolo simile?
WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – 4,1 milioni di spettatori, il miglior risultato ottenuto da Discovery Channel per uno show sulla natura dai tempi di Life, la serie scritta e raccontata dal divulgatore scientifico e naturalista David Attenborough. Molto dibattito, tantissime critiche, una petizione per cancellare lo spettacolo lanciata dalla PETA (People for the Ethical Treatment of Animals) su Change.org, che ha raccolto in poco tempo 38 000 firme.
Tutto questo è stato Eaten Alive, “mangiato vivo,” il controverso documentario mandato in onda il 7 dicembre su Discovery Channel in cui il naturalista Paul Rosolie (non) viene ingoiato da un anaconda lungo più di sei metri, nell’area peruviana della foresta amazzonica. Il tutto non ha funzionato propriamente come previsto – o almeno, come annunciato dai media – perché la tuta a prova di serpente a quanto pare ha rischiato di rompersi, e dopo pochi minuti Rosolie ha chiesto aiuto ai compagni del suo team. Per essere tirato fuori. (Qui trovate il commento di IFL Science, seguito dai tweet dei telespettatori che replicavano l’impresa in casa con il proprio cane).
“Quindi, ricapitolando: nessun messaggio utile ai fini della conservazione della natura, nessuno è stato davvero mangiato. Qual era lo scopo di questo show esattamente?” si legge su Salon. E Rosolie è mestamente d’accordo mentre racconta la sua versione dei fatti in un articolo sul Guardian. Perché a quei milioni di telespettatori di Discovery, come spesso succede, è stata raccontata (molto male) una storia che in realtà aveva moltissime sfaccettature di valore. Una storia scientifica, di ricerca, conservazione, deforestazione e inquinamento da mercurio. Ma lo show come sempre ha prevalso, seppur diventando un epic fail che non dimenticheremo presto. Eppure i retroscena faranno ora ricredere chiunque abbia etichettato Rosolie come un semplice esibizionista in un costume da lattina.
Accanto alla petizione PETA per cancellare lo show e impedire il “maltrattamento di anaconda” c’era infatti un’altra piccola petizione, che ha raccolto solamente 7mila firme. La Petition to protect the standing amazon rainforest, ignorata dalla maggior parte dei media, grido d’allarme lanciato nel nome di una parte della foresta amazzonica che potremmo presto perdere per sempre. Un grido rimasto piuttosto silente, perché questa cosa noiosa della deforestazione non attira più i lettori come un tempo. Meglio un titolo sensazionalistico, un messaggio più accattivante. Accanto all’anaconda di sei metri che avrebbe dovuto ingoiare Rosolie c’erano poi altre decine di serpenti della stessa specie – sia più piccoli sia egualmente grandi – che sono stati misurati e studiati, prelevando campioni di tessuto e seguendoli nel loro habitat per monitorarne il comportamento.
Dietro a quella serata andata male di Eaten Alive c’erano anni di lavoro da parte del team di Rosolie, un gruppo di scienziati che lavora sugli anaconda come bio-indicatori delle condizioni ambientali della foresta peruviana. Ma che finora non era riuscito a ottenere i fondi necessari per portare avanti un’attività di ricerca davvero completa, e ad arrivare alla pubblicazione dei risultati. Da lungo tempo questi scienziati erano alla ricerca di nuove informazioni su quegli animali straordinari che sono gli anaconda e che, come racconta Rosolie, conosciamo ancora troppo poco. Spesso cacciati dalle popolazioni locali, non siamo in possesso di stime sul loro numero, perciò è difficile dire se le specie siano stabili o in declino. Ma di certo soffrono le gravi condizioni in cui attualmente versa il loro habitat.
“A causa delle attività minerarie alla ricerca d’oro condotte in maniera illegale [riversando enormi quantità di mercurio nei sedimenti], oggigiorno nove delle quindici specie di pesci più comuni nella regione di Madre de Dios hanno livelli di mercurio molto più alti di quelli ritenuti sicuri dalla US EPA. Il risultato è che il 78% della popolazione umana della regione ha livelli di mercurio pericolosamente alti nel corpo, un problema particolarmente grave per le donne incinte. Nonostante conosciamo già le conseguenze su pesci e umani, il modo in cui questa contaminazione influenza il resto della catena alimentare rimane in gran parte un mistero”, comments Rosolie. La questione della ricerca dell’oro è diventata un’emergenza nazionale in Perù: se dal punto di vista della salute umana la gravità è quindi evidente, da quello ambientale gli oltre mille chilometri quadrati di foresta spazzati via hanno anche loro una brutta storia da raccontare. “Ed è qui che entrano in gioco i serpenti”.
Durante la sua vita l’anaconda della specie Eunectus murinus passa dalla condizione di predatore terziario a quella di secondario e infine diventa un predatore apicale: un rettile che da molto piccolo raggiunge dimensioni ragguardevoli, passando da una cinquantina di centimetri (per meno di mezzo chilogrammo di peso) fino a superare i sei metri. Gli anaconda si nutrono di uccelli, mammiferi, altri rettili, pesci e questo li rende uno degli animali più significativi in un ambiente biologicamente complesso come quello della foresta peruviana: attraversando così tanti stadi trofici, spiega Rosolie, questi serpenti accumulano quantità di mercurio (e altri contaminanti) tali da compromettere le loro funzioni neuromuscolari.
Cosa ha pensato quindi il naturalista, insieme ai suoi colleghi? Che lo show su Discovery fosse la tanto attesa occasione per catalizzare l’attenzione del pubblico su un grave problema ambientale, su una regione dalla biodiversità meravigliosa che sta rischiando grosso, su degli animali straordinari ma poco studiati. Decidere se accettare o meno di partecipare al programma non è stato facile, ha ammesso Rosolie, ma era l’unico modo per ottenere i fondi e “poter condurre ricerche che sognavo da anni”. E soprattutto, dopo lunghe riprese delle pessime condizioni in cui versa la foresta, dopo i filmati che mostravano la bellezza di questi serpenti, “chi mai presterebbe tanta attenzione a uno spettacolino a buon mercato, alla fine di un documentario così affascinante?”. Un documentario che, tra l’altro, inizialmente non si chiamava Eaten Alive ma Expedition Anaconda.
La pensavano così gli scienziati, che hanno avuto a quanto pare una bruttissima sorpresa quando il documentario su Discovery è diventato solamente uno show di nullo valore, andato pure male, senza traccia di gran parte di quelle riprese che testimoniavano la ricchezza (minacciata) della foresta peruviana. “Sono rimasto scioccato quando ho scoperto che tutte le riprese di foreste bruciate e attività minerarie distruttive non c’erano da nessuna parte. Lo stesso per il contesto del nostro studio sugli anaconda e per le potenziali implicazioni delle nostre scoperte. Le decine di anaconda più piccoli che abbiamo catturato e misurato – con lo stesso entusiasmo di quella grande – non c’erano. E, la cosa peggiore, lo show ha completamente tagliato fuori la testimonianza della devastazione della floating forest peruviana, perché i produttori hanno preferito dare l’illusione di un’immersione nella natura”.
Poca o niente scienza, breve menzione della conservazione (senza immagini di supporto), un’occasione perduta per raccontare a chi guarda da casa la triste situazione di lontani habitat bellissimi e a rischio. Cosa ne è venuto in tasca a Rosolie, che alla fine dei giochi è stato forse solo molto ingenuo? I fondi per la ricerca e un paper in pubblicazione, scrive, che senza il discutibile Eaten Alive non avrebbe forse mai visto la luce. Il naturalista è consapevole che la sua reputazione ha subito un duro colpo, e ammette che rimpiangerà sempre “il documentario che Eaten Alive avrebbe potuto essere”. Se non altro, nel circo mediatico che ha contornato il suo lavoro, ha potuto lavorare a un progetto che potrebbe rivelare i segreti di uno dei predatori più affascinanti del pianeta: l’anaconda verde. Saranno invece delusi molti telespettatori indiani, visto che a quanto pare un giornale locale aveva diffuso la notizia che Rosolie sarebbe rimasto nel serpente per 28 giorni.
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Crediti immagine: Jeff Kubina, Flickr