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Dare o non dare il tablet ai bimbi?

Se dall'asilo in poi aiutano ad arricchire il vocabolario e a comprendere i testi, nei bambini più piccoli esagerare con le app può rallentare lo sviluppo socio-emotivo

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SALUTE – Di questi tempi sarà ormai capitato a chiunque, per esempio viaggiando in treno o in aereo, di vedere un bambino irrequieto agitarsi sul sedile e magari urlare, richiamando l’attenzione dei genitori. E sempre più spesso la scena prosegue con un tablet, un iPad o chi per lui, che rapidamente esce dalla borsa della mamma o del papà e finisce tra le sue mani. A quel punto tutto tace, i passeggeri intorno possono continuare il loro viaggio in tranquillità e i genitori tirano un sospiro di sollievo.

Certo l’avvento dei tablet e degli smartphone ci ha dotati (tra le mille altre cose) di un potente diversivo per i bambini. Ma farà loro davvero bene usarli così di frequente, come una parte normale della quotidianità? Considerando che l’utilizzo di questi strumenti è ormai così assodato che si prevedono addirittura risarcimenti per le app acquistate dai piccoli -involontariamente e senza consenso dei genitori-, è il caso di approfondire.

Se vari studi si sono interessati alla questione dal punto di vista dell’apprendimento, scoprendo che un bambino di meno di 30 mesi non impara dalla tv o da un video quanto dalle interazioni reali, finora ben poche indagini hanno osservato più da vicino cosa cambia quando invece si tratta di applicazioni interattive.

Secondo una nuova ricerca su Pediatrics, la conseguenza di questo utilizzo è che i bambini non sviluppano le normali capacità di autocontrollo, e a risentirne è lo sviluppo socio-emotivo. “Se questi device diventano il principale strumento per calmare e distrarre i bambini piccoli, questi saranno poi in grado di sviluppare il loro meccanismo interno di auto-regolazione?”, si chiedono gli autori dello studio.

Lungi dagli scienziati additare queste nuove risorse come negative in assoluto, anzi: la questione è strettamente legata all’età: i libri elettronici e le app per imparare a leggere possono essere molto utili per arricchire il vocabolario dei bambini e aiutarli nella comprensione dei testi, ma solo dall’asilo in poi. Quando si tratta invece di bambini di due anni i benefici sono tutto fuorché certi e l’esperienza diretta del mondo che li circonda -per quanto ne sappiamo- rimane il migliore strumento di apprendimento.

“È stato ampiamente studiato come più tempo un bambino trascorre a guardare la tv, meno si sviluppano le sue capacità sociali e linguistiche. L’utilizzo dei device è simile e sostituisce la quantità di tempo che verrebbe impiegata in interazioni con altri esseri umani”, spiega Jenny Radesky, corresponding author e ricercatrice alla Boston University School of Medicine.

E così si compromette lo sviluppo dell’empatia, delle capacità di problem solving e quelle motorie e visive, di molti di quei tratti che richiedono l’esplorazione. E che negli anni si rivelano fondamentali in particolare per l’apprendimento della matematica e delle materie scientifiche, aggiunge Radesky.

Quindi niente più tablet ai pupi? La raccomandazione degli autori, in attesa di ulteriori conferme, è che i genitori provino ogni app prima di dare i device in mano ai bambini (cosa che si spera già facciano sempre), e che se ricorrono a questi strumenti la cosa migliore da fare è utilizzarli insieme ai loro figli, aumentandone il valore educativo. “Ci sono più domande che risposte quando si parla di mobile media”, conclude Radesky. “Finché non ne sapremo di più sul loro impatto sullo sviluppo dei bambini, la cosa migliore è trascorrere del tempo di qualità in famiglia”. Possibilmente lontani dagli schermi.

@Eleonoraseeing

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Maria Elena, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".