Quando in cattedra c’è una spia
Dalla fisica teorica allo spionaggio di massa: quando le vicende di spionaggio si incrociano con quelle universitarie. E viceversa.
CULTURA – La fisica dei buchi neri e la teoria delle stringhe l’avevano portato all’ammissione al corso di dottorato in fisica della Normale di Pisa. I messaggi anti-occidentali e le simpatie jihadiste espresse su alcuni siti dei movimenti islamici radicali gli sono costati l’espulsione dall’Italia. Queste le vicende che hanno portato Furkan Semih Dundar, uno studente turco di 25 anni, agli onori della cronaca, in seguito alle indagini condotte dalla Digos per sospette collusioni con il terrorismo.
Di certo non era la prima volta che i servizi segreti si trovavano a indagare sulle simpatie politiche, ideologiche o religiose di studenti e professori universitari. Nel corso della storia, il mondo accademico ha spesso visto nascere al proprio interno movimenti di protesta e critica al potere costituito, che talvolta hanno innescato veri e propri focolai di rivolta (non di rado culminati in violente repressioni).
Alle contestazioni più visibili si affiancano tutta una serie di vicende sempre legate a questioni politiche e ideologiche che però sono passate sotto traccia e hanno suscitato meno clamore, se non quando sono emerse allo scoperto. Stiamo parlando delle storie di spionaggio che hanno coinvolto (e a quanto pare coinvolgono tutt’ora) il mondo accademico.
Il caso più celebre, storicamente parlando, è senza dubbio quello dei Cinque di Cambridge: giovani conosciutisi durante gli studi a Cambridge che, a partire dagli anni Trenta, si diedero allo spionaggio in favore dell’Unione Sovietica. L’appartenenza a una delle più blasonate università britanniche non fu, nel loro caso, una scelta dovuta alla necessità di avere una buona copertura. Al contrario, fu l’ambiente che trovarono a Cambridge – favorito anche dalle tensioni sociali – ad avvicinarli agli ideali comunisti e, in un secondo tempo, a farli diventare vere e proprie spie. Due di loro riuscirono addirittura a diventare membri dell’MI5 e diedero un contributo fondamentale alle attività di spionaggio russo in Inghilterra e, successivamente, anche negli Stati Uniti. Fra matrimoni con agenti del KGB, alcolismo, interrogatori, libertinaggio sessuale, sospetti e fughe rocambolesche attraverso l’Europa, queste cinque spie divennero un mito in Unione Sovietica, al punto che uno di loro fu addirittura celebrato con un francobollo dedicato.
In altri casi più recenti, forse anche grazie alla lezione dei Cinque di Cambridge, le università si sono rivelate ottime occasioni per tessere quel genere di relazioni molto utili se si sta cercando di carpire segreti di altri paesi. È il caso di Andrey Bezrukov, vero nome di Donald Howard Heathfield, uno dei dieci sleeper agents russi in territorio americano arrestati dall’FBI nell’estate del 2010. Lo stesso gruppo di cui faceva parte anche Anna Chapman, poi diventata una celebrità grazie alla sua avvenenza, al punto da guadagnarsi copertine in lingerie e sfilate di moda. Ma torniamo a Bezrukov/Heathfield: nel 2000 aveva ottenuto un master in business administration alla John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard. «Era sveglio, simpatico e aveva mantenuto i contatti con molti di noi, anche se erano andati all’estero», dicevano di lui i compagni di corso. E come dargli torto, quando la sua classe includeva persone del calibro di Felipe Calderón, che sarebbe diventato presidente del Messico dal 2006 al 2012?
Il master in business administration era anche l’obiettivo di Chyntia Murphy, laureata in finanza alla Stern School of Business dell’Università di New York, un marito, due figlie e gli hamburger alla griglia di domenica. Peccato che il suo vero nome fosse Lidiya Guryeva, nota a Mosca come l’agente N, il cui scopo era raccogliere informazioni da altri professori e al tempo stesso cercare eventuali nuove reclute fra i compagni di corso. Se vi state chiedendo come reagì il marito, sappiate che lui era l’agente A, in perfetto stile The Americans.
Contatti, relazioni, informazioni su progetti di ricerca. Nella società della conoscenza merci simili sono sempre più pregiate e di certo le università sono un ottimo punto di partenza per procurarsele. E le strategie per farlo stanno forse cambiando.
L’anno scorso, Xia Yeliang, professore di economia e dissidente politico, espulso dalla Cina e approdato al Cato Institute, ha denunciato lo sfruttamento delle cooperazioni internazionali fra università e degli scambi di studenti da parte del governo di Pechino a fini spionistici. In questo senso, c’è chi sostiene che l’approccio cinese stia segnando una svolta nel mondo dello spionaggio accademico (e forse non solo di quello): invece di addestrare poche spie molto efficaci ne vengono inviate in terra straniera molte con piccoli compiti da portare a termine. Una rete più ampia e difficile da controllare per il controspionaggio, di cui gli studenti mandati all’estero sarebbero una componente importante.
Che sia dunque giunta l’ora dello spionaggio di massa? Dobbiamo forse rassegnarci e mettere da parte tutti quegli stereotipi – più o meno credibili ma comunque affascinanti – sulle spie cui ci hanno abituato cinema e letteratura?
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Credit immagine: Emory Allen, Flickr