Tumore dell’ovaio: il rischio aumenta con le terapie ormonali sostitutive
Secondo una nuova metanalisi le TOS aumentano di circa il 40% il rischio di carcinoma ovarico: come decidere se iniziarle o no? La scelta è differente per ogni donna
SALUTE – Seguire una terapia ormonale sostitutiva (TOS) durante la menopausa, anche se solo per pochi anni, è associato a un significativo aumento del rischio di sviluppare le due più comuni tipologie di cancro ovarico: quello sieroso e quello endometrioso. È quanto emerso da una pubblicazione su The Lancet, una metanalisi di 52 studi epidemiologici condotti in tutto il mondo (America settentrionale, Europa e Australia) che hanno incluso oltre 21mila donne con carcinoma alle ovaie.
La TOS viene prescritta alle donne per contrastare i sintomi della menopausa -quelli vasomotori possono durare anche 10 anni-, fornendo loro gli ormoni che normalmente sono prodotti proprio dall’ovaio e la cui sintesi si interrompe una volta cessata la vita riproduttiva. Nonostante più o meno dieci anni fa il ricorso alla TOS sia molto calato, questa diminuzione sta venendo meno e secondo i ricercatori sono almeno sei milioni le donne che -solo tra Regno Unito e Stati Uniti- seguono una terapia ormonale sostitutiva.
Per quanto riguarda le italiane, invece, i dati di riferimento tra il 2006 e il 2010 hanno fatto stimare che fossero 465.000 le donne tra i 45 e i 60 anni ad assumere la TOS. Ovvero circa il 7% della popolazione femminile. Ma cosa dicono le linee guida in merito? Come stabilire se iniziare una terapia ormonale sostitutiva o meno? Abbiamo chiesto un commento a Nicoletta Colombo, direttrice della Divisione di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (IEO).
Come è cambiato l’uso delle terapie ormonali sostitutive negli ultimi anni?
Alla fine degli anni Novanta il ricorso alla TOS ebbe un picco, a seguito della pubblicazione di alcuni studi osservazionali che ne indicavano i benefici sia per trattare i sintomi della menopausa sia per ridurre l’incidenza futura di malattie cardiovascolari e osteoporosi. Negli stessi anni, però, due ampi studi controllati randomizzati –lo studio HERS (The Heart and Estrogen/pro-gestin Replacement Study) e lo studio WHI (Women’s Health Initiative)- misero in discussione i dati precedenti, indicando un aumento del rischio di eventi cardiovascolari e di carcinoma della mammella. Ne seguì una forte riduzione del consumo di farmaci per la TOS in tutti i paesi, inclusa l’Italia. In realtà, analisi ancora successive hanno evidenziato che nelle donne che assumono la TOS entro 10 anni dall’inizio della menopausa c’è un beneficio in termini di mortalità generale e non aumenta l’incidenza degli eventi cardiaci.
Questo come si traduce in termini di utilizzo delle terapie?
Il continuo dibattito in ambito clinico sui rischi e sui benefici della TOS in menopausa si riflette sull’informazione che viene fornita alle donne, che ricevono continuamente messaggi contrastanti sia dai vari professionisti ai quali si rivolgono (medici di famiglia, specialisti ospedalieri e non) sia dai materiali divulgativi che possono ricevere o leggere. Tutto questo rende difficile esercitare una scelta veramente consapevole, a vantaggio della propria salute.
Ci sono casi in cui la TOS è sconsigliata?
I rischi e i benefici individuali devono essere discussi e rivalutati ogni anno, al pari di dose, durata e tipo di terapia, che sono individualizzate: bisogna considerare lo stato di salute generale, l’età, il tempo trascorso dall’inizio della menopausa, la storia familiare e altri fattori di rischio personale -precedenti malattie trombo emboliche o ischemiche, cardiovascolari e tumore della mammella-.
Esistono delle terapie alternative non ormonali? Sono altrettanto valide o hanno controindicazioni?
Le alternative includono inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, come la fluoxetina e paroxetina per i sintomi vasomotori, la venlafaxina, il gabapentin e la clonidina. Tuttavia questi farmaci non sono esenti da effetti collaterali, ad esempio nausea e sonnolenza specialmente se assunti a dosi elevate. I fitoestrogeni offrono alcuni vantaggi per il sollievo dei sintomi e forse per l’osteoporosi, ma la loro efficacia è inferiore. Anche i bifosfonati possono essere utilizzati come alternativa per preservare la densità ossea, ma sono anch’essi associati ad effetti collaterali. Recenti studi hanno indicato, ad esempio, che l’alendronato può predisporre a fratture femorali perché viene meno il turnover osseo.
Quanto dura un trattamento con terapia ormonale sostitutiva?
Se i sintomi della menopausa sono molto severi e persistono, i benefici della TOS possono superare i rischi ed è per questo che l’utilizzo non dovrebbe essere soggetto a limiti arbitrari. Tuttavia va ricordato che un rapporto rischi/benefici favorevole è stato dimostrato finora solamente per le donne con meno di 60 anni, dopo i quali serve maggior cautela. In caso una donna decida comunque di assumere la TOS a questa età, è preferibile la via transdermica e alla minima dose efficace. Nelle donne con menopausa precoce, invece, la TOS è raccomandata almeno fino all’età media della menopausa naturale.
Le attuali linee guida in merito alle TOS potrebbero essere riviste in seguito a questa metanalisi?
Quelle attuali non nominano il tumore ovarico come possibile complicanza, fatta eccezione per le linee guida inglesi che citano il possibile rischio dopo utilizzo prolungato di TOS. Ma la maggior parte degli studi precedenti era troppo piccola per cogliere davvero un rischio associato a pochi anni di terapia, che ora -a differenza del passato- è la situazione più comune. Un rischio menzionato è quello di tromboembolismo venoso e ischemia, che aumenta con la TOS orale (ma come rischio assoluto è raro al di sotto dei 60 anni). Alle donne che hanno sintomi diversi da quelli vasomotori, ad esempio secchezza vaginale e dolore durante i rapporti sessuali, è invece raccomandata la terapia locale, con creme oppure ovuli a basso dosaggio.
L’aumento di incidenza tumorale era una conseguenza già nota?
Il tumore più studiato a tal proposito, con un rischio nelle donne sopra i 50 anni, è quello della mammella. L’argomento è complesso: il rischio aumentato è principalmente associato all’aggiunta del progestinico alla terapia estrogenica, ed è correlato alla durata d’uso. Ma è comunque un rischio piccolo e si riduce una volta sospesa la terapia, si stima un caso extra di carcinoma della mammella ogni 1000 donne, dopo 5 anni di utilizzo (non nel caso si usi solamente estrogeno). Ciò nonostante gli attuali dati di sicurezza non supportano l’utilizzo di TOS nelle donne che hanno avuto un tumore alla mammella.
Le TOS aumentano il rischio solo di due specifiche tipologie di tumori ovarici delle quattro esistenti, sieroso (+53%) ed endometrioide (+42%). Perché?
Il motivo di questa disparità può essere legato alla differente biologia degli isotipi: a differenza di quello mucinoso e a cellule chiare, quello sieroso e quello endometrioide esprimono più di frequente dei recettori per gli estrogeni sulle loro cellule. Potrebbero pertanto essere più suscettibili al loro effetto proliferativo, ma questa è solo un’ipotesi, eventualmente da validare. L’istotipo sieroso di alto grado è comunque il più frequente, rappresenta il 70% dei carcinomi ovarici avanzati.
Qual è dunque il risultato più rilevante dello studio di The Lancet?
Che le donne che usano la TOS anche per meno di cinque anni hanno un rischio aumentato del 37% di sviluppare un carcinoma ovarico, un rischio che si applica alle donne che assumevano la TOS al momento della diagnosi o l’avevano sospesa meno di cinque anni prima. Tuttavia, anche per coloro che l’avevano sospesa da un periodo più lungo, se l’assunzione era stata prolungata (> cinque anni) è stato osservato un aumento del rischio. Per le donne che assumono la TOS per cinque anni da un’età intorno ai 50 anni, si stima un caso in eccesso di carcinoma ovarico ogni 1000 donne e una morte in eccesso ogni 1.700 donne.
Un aumento legato anche ad altri fattori?
Non in questo caso: in base allo studio il rischio è indipendente dall’impiego di estrogeni (da soli o in combinazione con progestinici), dall’età d’inizio della TOS, dal peso, dall’utilizzo precedente di contraccettivi orali, dall’isterectomia, dall’uso di alcool o tabacco o dalla storia familiare di carcinoma della mammella o dell’ovaio. C’è comunque un limite: la mancanza di informazione sull’effetto della dose. Dosi minori, come quelle utilizzate attualmente, potrebbero essere meno dannose.
Cosa cambierà ora?
I risultati supportano l’aggiunta del carcinoma ovarico alla lista degli effetti collaterali associati alla TOS. Tuttavia, rispetto alle malattie cardiovascolari ed al tumore della mammella, il carcinoma ovarico è meno frequente: il che suggerisce che la valutazione globale del rischio non sarà fortemente influenzata dalla metanalisi. Che è comunque rilevante per una malattia i cui fattori causali conosciamo ancora poco: ogni riduzione del rischio (ad esempio proprio evitare la TOS) potrebbe portare a una riduzione rilevante della mortalità da carcinoma ovarico.
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