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SIDS: il rischio aumenta con l’altitudine

Uno studio epidemiologico indica nell'altitudine uno dei fattori di rischio per la morte in culla

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GRAVIDANZA E DINTORNI – Sopra i 2400 metri, il rischio di SIDS, la morte in culla, aumenta di 2,3 volte. Già alcuni piccoli studi avevano avanzato in passato l’ipotesi di una correlazione tra questo tragico evento (la morte improvvisa, senza cause apparenti, di un bambino tra un mese e un anno di vita) e l’altitudine; ora la conferma viene da un’ampia indagine condotta da ricercatori dell’Università di Denver su dati del Colorado, negli Stati Uniti. “Uno studio epidemiologico ben fatto, che ancora una volta sottolinea l’influenza dei livelli di ossigeno nel sangue sul rischio di SIDS” commenta Raffaele Piumelli, responsabile del Centro SIDS dell’Ospedale Meyer di Firenze (estraneo all’indagine) .

Come raccontato sulla rivista Pediatrics, David Katz e colleghi hanno analizzato i registri di nascita (e quelli di eventuali decessi) di oltre 390 mila bambini nati in Colorado tra il 2007 e il 2012, assegnando i piccoli a varie fasce di altitudine, sulla base dell’indirizzo di residenza materna. Nel campione considerato, l’incidenza della SIDS è stata di 4,2 casi ogni 10 000 bambini. Dopo aver “corretto” i dati rispetto ad altri fattori di rischio o di protezione per la morte in culla (tipo di allattamento, madre fumatrice, status socioeconomico della famiglia), i ricercatori hanno osservato un rischio 2,3 volte più alto per i bambini che vivono in alta quota, con un’incidenza di 7,9 decessi ogni 10 000 bambini sopra i 2400 metri, contro 4 decessi ogni 10 000 bambini sotto i 1800 metri.

Il fattore in gioco in questa correlazione è molto probabilmente l’ossigeno, o meglio la sua carenza. In alta quota, infatti, c’è una rarefazione di questo elemento, che porta a una riduzione dei livelli di ossigeno nel sangue (ipossiemia). “In letteratura è già stato riportato più volte che un abbassamento dell’ossigeno nel sangue può rappresentare un antefatto della tragica morte per SIDS” spiega Piumelli. Ma attenzione: non stiamo parlando di soffocamento, nel quale la totale assenza di ossigeno o una sua carenza importante sono cause dirette di morte. In questi casi siamo di fronte a livelli subottimali, che in genere non danno comunque problemi, ma che in alcuni bambini vulnerabili possono avere esiti catastrofici. “In altre parole, l’ipossiemia sarebbe un fattore in grado di smascherare una vulnerabilità di base del bambino” commenta il pediatra.

In effetti, il modello elaborato per spiegare la morte in culla prevede proprio la partecipazione contemporanea di tre fattori (modello del triplice rischio): l’esistenza di una finestra critica nel primo anno di vita (e soprattutto tra due e quattro mesi); la presenza di una vulnerabilità di base (in particolare difetti nella capacità di regolazione respiratoria e cardiaca, dovuti per esempio ad anomalie del tronco encefalico); l’azione di fattori esterni scatenanti, come il dormire a pancia in giù, specie su superfici morbide, il fumo di sigaretta o, appunto, l’altitudine. E alcuni di questi fattori potrebbero avere in comune proprio il fatto di portare a una minore disponibilità di ossigeno nel sangue, con aumento dei livelli di anidride carbonica.

“In genere, quando questo succede, l’organismo reagisce con una serie di meccanismi “salvavita”, per esempio meccanismi di stabilizzazione della frequenza respiratoria e cardiaca, oppure il cosiddetto arousal, una sorta di prerisveglio” afferma Piumelli. “In alcuni bambini, però, questo non succede e il risultato è purtroppo un decesso improvviso”.

Che fare, allora, con i risultati dello studio americano? Ce n’è abbastanza per consigliare l’abbandono delle località di montagna? Secondo gli autori dello studio (e Piumelli conferma), non è il caso. Semplicemente, si tratta di essere consapevoli di un fattore di rischio in più e dell’importanza (in generale, ma ancora di più in contesti che potrebbero essere critici) delle buone pratiche di riduzione del rischio. Pratiche semplici – mettere sempre il bambino a dormire a pancia in su, senza coprirlo troppo, non fumare né durante la gravidanza né in presenza del piccolo o nella stanza in cui dorme – che in effetti hanno fatto molto per ridurre l’incidenza di questa terribile condizione. Per saperne di più, si può consultare l’opuscolo realizzato per la campagna di riduzione del rischio SIDS.

Leggi anche: Posizione nel sonno e morte in utero

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Credit Immagine: ninacoco, Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance