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Tutto quell’alcol in gravidanza

Bere in gravidanza è un fenomeno molto diffuso, ma sempre più studi confermano i rischi anche sulle quantità di alcol moderate. Perché il messaggio non arriva alle mamme?

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Le statistiche mostrano che il consumo di alcol durante la gravidanza è piuttosto comune. Gli scienziati concordano sul fatto che un consumo eccessivo danneggia il sistema nervoso centrale del feto determinando anomalie neurologiche, rallentando lo sviluppo cognitivo e portando, con il passare del tempo, a problemi comportamentali […]. Le raccomandazioni ufficiali al riguardo sono diverse di Paese in Paese (Low dose alcohol exposure during pregnancy – does it harm? Swedish National Institute of Public Health)

APPROFONDIMENTO – Da quando sul sito dell’OMS è comparso questo tassello sono passati alcuni anni ma gli effetti, nel breve e lungo termine, del consumo basso e moderato di alcol in gravidanza non sono ancora del tutto compresi. Esistono anche studi che -seppur su campioni piccoli- non hanno trovato conseguenze importanti sulla salute dei bambini una volta compiuti i cinque anni, escludendole anche dal punto di vista emotivo e psicologico. Altri ancora hanno invece stabilito che non esiste un safe level per il consumo, visto che l’esposizione prenatale all’alcol (anche se bassa o moderata) “connette” tra loro determinate aree del cervello che non dovrebbero essere connesse, e rallenta la crescita cellulare della placenta compromettendone la funzione.

Il riconoscimento delle alterazioni provocate dall’alcol sullo sviluppo intrauterino è avvenuto solo recentemente, lo conferma il portale dell’ISS, Epicentro: “la prima descrizione clinica di sintomi chiaramente riconducibili ai danni pre e postnatali dell’alcol è stata pubblicata in Francia nel 1968 e, pochi anni dopo, negli Usa. Da allora studi sempre più numerosi, condotti in tutto il mondo, hanno permesso di definire meglio la gamma dei diversi disturbi del feto correlati all’esposizione all’alcol, denominata ‘spettro dei disordini feto-alcolici‘ (Fasd), e la loro diffusione nei diversi Paesi”.

In attesa di nuovi dati che continuino a validare la letteratura scientifica al riguardo, la raccomandazione dei professionisti della salute rimane quella di evitare di bere del tutto non solo durante i nove mesi, anche nel periodo precedente -quando si sta pianificando e cercando una gravidanza-. Sappiamo ad esempio che il consumo di alcol nei mesi precedenti e all’inizio della gravidanza è correlato a gastroschisi (un difetto di formazione della parete addominale del bambino), a problemi comportamentali e al rischio di una modifica permanente della sua regolazione genica, specialmente a livello dell’ippocampo, una regione del cervello particolarmente importante per la memoria e la navigazione spaziale.

Ma c’è un’altra tipologia di dati che abbiamo in abbondanza e racconta una realtà decisamente preoccupante: la quantità di madri che queste linee guida e suggerimenti non li rispettano. Mancanza di informazione o comunicazione mirata? Il messaggio del rischio non arriva? Il target è sbagliato? Neppure queste domande hanno ancora ricevuto risposte davvero esaustive, mentre sempre più indagini confermano che i numeri non sono affatto da sottovalutare.

Uno studio norvegese del 2013 basato sui numeri del Norwegian Mother and Child Cohort Study (MoBa), ad esempio, concluse che su 66mila donne intervistate il 16% aveva continuato a bere (seppur con moderazione) per tutto il primo trimestre, il 10% anche durante il secondo. In quella particolare circostanza furono anche identificati dei fattori di rischio ben precisi nel basso reddito della madre/ del nucleo familiare e nel suo (e del partner) abuso di alcol anche prima della gravidanza.

Coinvolgendo un totale di oltre 17mila donne, oggi altri tre diversi studi (SCOPE, PRAMS, GUI) sono giunti alla conclusione che tra il 20 e l’80% delle partecipanti (provenienti da Regno Unito, Australia, Irlanda e Nuova Zelanda) aveva consumato alcol in gravidanza. Non è emersa alcuna distinzione significativa tra classi sociali diverse, spiegano i ricercatori, mentre un elemento si è dimostrato determinante: le donne in dolce attesa che continuavano a fumare avevano maggior probabilità (tra il 17 e il 50%) di non smettere nemmeno di bere.

La situazione più preoccupante in base allo studio SCOPE è quella Irlandese, che ne è uscita con il più alto tasso di consumo di alcol: il 90% prima della gravidanza, l’82% durante. Altrettanto allarmanti i numeri del binge drinking, ovvero del consumo smodato di bevande alcoliche: il 59% delle donne prima della gravidanza, il 45% durante. Numeri che -precisano gli scienziati- sembrano decisamente più moderati negli altri due studi PRAMS e GUI, mantenendosi tra il 20 e il 46%, con una percentuale molto bassa di binge drinking (3%).

Tra le più caute nel consumo di alcol in gravidanza ci sarebbero le donne più giovani (30-39 anni), quelle con un più elevato livello di istruzione, sovrappeso o obese e quelle che hanno già altri bambini. “Bere in gravidanza è un fenomeno prevalente, e da questi confronti emerge che l’esposizione dei feti all’alcol potrebbe riguardare più del 75% delle gravidanze in Irlanda e Regno Unito”, scrivono i ricercatori su BMJ Open.

Sul fronte della comunicazione qualcosa da poter fare c’è, se non altro per ben precise categorie di mamme: quelle molto giovani, le adolescenti in particolare tra i 12 e i 14 anni. Indagini come quella comparsa su Addictive Behaviors qualche tempo fa hanno mostrato che circa tre su cinque (il 59%) delle ragazze incinte intervistate avevano fatto uso di alcol negli ultimi 12 mesi. Più di un terzo del totale delle partecipanti aveva fatto uso di una o più sostanze negli ultimi 30 giorni.

Consola -e fornisce una direzione per le campagne di informazione, coinvolgendo parenti e scuole- il fatto che “abbiamo scoperto che nel caso di ragazze che ricevevano un supporto dalla famiglia, o quelle molto prese dal percorso scolastico e consce dell’importanza di una buona istruzione, il consumo di alcol e sostanze varie scendeva del 50%”, spiega Michael G. Vaughn, co-autore della pubblicazione.

Madri (giovani e non) che hanno bisogno di sapere che il consumo di alcol in gravidanza, in qualsiasi momento e anche in piccole quantità, rischia di portare i loro figli ad avere deficit intellettivi, cognitivi e psicosociali, ai danni delle capacità di relazione, della cognizione sociale, della memoria e dell’attenzione. Tutto l’alcol ingerito -e in particolare modo l’acetaldeide- raggiunge il sangue del feto direttamente attraverso la placenta: la scelta più sicura per il bimbo è di evitarne del tutto il consumo. Perché “una vita che nasce teme l’alcol. Proteggere la salute del bambino è una responsabilità della madre e un impegno della società” (dalla campagna di informazione del Ministero della Salute).

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Le vittime dell’abuso di alcol

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Thangaraj Kumaravel, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".