Perché vaccinare gli anziani?
Più di 7900 morti per polmonite tra gli over 65 nel 2011, il 20% di vaccinati in meno rispetto al 2005.
SALUTE – Riuscire ad allungare l’aspettativa di vita della popolazione non è di per sé un traguardo: il traguardo è aumentare gli anni di vita in salute. Si stima infatti che attualmente l’aspettativa di vita in Italia sia in media 83 anni, mentre quella in salute 73 anni. Un intervallo lungo un decennio.
La Commissione Europea parla in particolare di “invecchiamento attivo”, in cui cioè l’anziano viene messo nelle condizioni di rimanere il più autosufficiente possibile, di praticare un’attività fisica più o meno leggera, ma frequente anche in età avanzata, ma soprattutto di essere adeguatamente protetti da infezioni che è possibile prevenire, come l’influenza stagionale e la patologia pneumococcica. In altre parole: vaccinare di più anche la popolazione anziana, che oggi sceglie di farlo molto poco, circa un anziano su due.
Quella della vaccinazione della popolazione adulta sopra i 50 anni (non solo dunque gli over 65) oggi non è una questione secondaria. Secondo le previsioni dell’Unione Europea, nel 2050 un terzo della popolazione europea avrà più di 65 anni, un incremento del 54% rispetto al 1990. Oggi gli over 65 rappresentano il 21% degli italiani. Il Fondo Monetario Internazionale in questo senso parla addirittura di “longevity shock”, riferendosi al pensionamento di tutti i baby boomers, cioè le persone nate fra il 1945 e il 1964. Anche solo limitandoci a questi due dati, è evidente che si tratta di un tema di salute pubblica importante. Non dimentichiamo inoltre che durante il semestre di Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione Europea il nostro Paese è stato incaricato nel contesto della Global Health Security Agenda (GHSA) di guidare le campagne vaccinali a livello globale durante il prossimo quinquennio.
Se ne è parlato i giorni scorsi a Milano, durante la Conferenza Europea di Salute Pubblica (EPH), dove è stata presentata l’Alleanza per l’Invecchiamento Attivo Happy Ageing, che riunisce il mondo scientifico, la società civile e le istituzioni. L’obiettivo è quello di studiare e promuovere politiche e attività finalizzate a implementare le indicazioni europee della European Innovation Partnership on Active and Healthly Ageing, che mira a garantire una vita in salute attiva e indipendente durante l’invecchiamento. Dal punto di vista pratico la proposta di Happy Ageing è quella di adottare il Calendario per la vita all’interno dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e nel prossimo Piano Nazionale Vaccini.
La polmonite è ancora la prima causa di morte per malattie infettive in occidente, ma la consapevolezza delle complicanze dovute a questa malattie è scarsissima. Solo un anziano over 70 su 3 è a conoscenza del fatto che di polmonite si può morire e la metà non sa che esiste un vaccino. Il risultato è che si vaccina il 48% degli anziani, il 20% in meno rispetto al 2005.
La conseguenza è per esempio l’incidenza delle polmoniti pneumococciche è aumentata dal 2001 al 2010, con un picco nel 2009 a causa della concomitanza con l’epidemia di influenza A/H1N1. A raccontarlo sono i dati sulle dimissioni ospedaliere: quasi 20 anziani su 100 000 che devono essere ricoverati. In aumento anche il tasso di ospedalizzazione per sepsi e meningiti da pneumococco: 3804 casi solo fra il 2008 e il 2012. Secondo Istat, nel 2011 i decessi per polmonite fra gli over 65 sarebbero stati 7935. Fa riflettere che sempre secondo Istat gli over 65 morti per incidente stradale siano stati 1038.
Anche il vaccino influenzale è poco di moda fra gli over 65. Nel 2014 si è vaccinato il 60% degli anziani, con forti differenze a livello regionale. In Umbria si è raggiunto quasi il 70%, in Sardegna nemmeno il 55% e nella provincia di Bolzano si è appena superato il 30% degli over 65.
“Si è maggiormente colpiti perché si è più fragili” sottolineano gli specialisti che sono intervenuti in occasione dell’incontro milanese. Oltre i 50 anni (cioè ben prima dei 65 oltre cui viene consigliato il vaccino) si assiste a un fisiologico declino delle funzioni di difesa immunitarie, che sommate a un altrettanto fisiologico stato di immunocompromissione, dovuto a diabete, eventuali trapianti o terapie immunosoppressive, contribuiscono a creare terreno fertile per lo sviluppo di infezioni.
Per non parlare di una società che cambia, si evolve, con gli anziani che sempre di più terminano la loro vita in comunità e case di riposo, condividendo dunque gli stessi spazi con altri anziani. Una promiscuità che può rendere estremamente vulnerabili.
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