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La lotta alle pandemie, fra gioco e narrazione

Quando la scienza diventa un gioco da tavolo: da Contagion a The Strain, ecco come ci immergiamo in ambientazioni farcite di virus e malattie

STRANIMONDI – Quella della malattia globale è una paura diffusa nella nostra società. Una paura che si riflette nelle tante storie che hanno a che fare con il propagarsi di un morbo, che sia quello realistico raccontato da Steven Soderbergh in Contagion, quello fantascientifico del Pianeta delle scimmie o quello sovrannaturale delle tante epidemie zombie o dei vampiri di The Strain. Una paura che ci piace esorcizzare leggendo storie post-apocalittiche dove l’umanità è stata messa in ginocchio da un virus, o guardando film e serie tv che raccontano l’angoscia di una lotta contro un nemico invisibile. O magari anche affrontando e sconfiggendo queste malattie in un gioco. Proprio questa è l’idea alla base di Pandemia, una fortuna serie di boardgame inventata da Matt Leacock nel 2007 ed edita in Italia da Asterion.

Il gioco si basa sulla cooperazione fra i vari giocatori che, nei panni dei membri di un’equipe medica, dovranno trovare la cura a quattro diverse malattie che si stanno propagando sul pianeta. La loro diffusione è regolata da un meccanismo tanto semplice quanto ingegnoso, basato su un mazzo di carte che riproducono le varie città del tabellone nelle quali, man mano che la partita procede, si accumulano i cubetti che rappresentano le diverse malattie. Quando i cubetti su una città superano un certo livello, scoppia un focolaio che diffonde la malattia nelle città vicine, con il rischio di innescare altri focolai in una pericolosa reazione a catena. I giocatori dovranno quindi muoversi da un luogo all’altro per arginare le situazioni più a rischio e nel tempo stesso raccogliere le carte necessarie per trovare le quattro diverse cure. Di tanto in tanto si verificano alcune epidemie – il cui numero rappresenta il livello di difficoltà ed è stabilito dai giocatori all’inizio della partita – che aumentano il ritmo di diffusione delle malattie.

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Per far fronte alla continua minaccia è quindi necessario coordinarsi, calcolare con precisione le proprie mosse anche in relazione a quelle degli altri giocatori, scambiarsi risorse e cercare di essere il più flessibili possibile, in modo da poter far fronte agli immancabili imprevisti. Diventato un classico dei giochi cooperativi, Pandemia ha il pregio di riuscire a rendere l’idea della corsa contro il tempo e della lotta a un nemico imprevedibile, grazie a meccaniche semplici ma efficaci, unite a una durata contenuta delle partite.

Il suo successo ha portato a una seconda edizione, nel 2013, e allo sviluppo di diverse espansioni, che arricchiscono il gioco base con nuove sfide opzionali: ceppi virulenti, virus mutanti, bioterroristi, addirittura un meccanismo che approfondisce il processo di ricerca della cura, simulando i processi utilizzati dai ricercatori, dalla caratterizzazione di un’agente patogeno al suo sequenziamento.

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Un gioco, quindi, che trae forte ispirazione dalla scienza, non solo per il tema di base ma anche per molte delle meccaniche coinvolte, che aiutano i giocatori a immergersi ancora di più nell’ambientazione. Gli stessi personaggi hanno ruoli molto scientifici: dalla ricercatrice al medico, dall’agente sul campo all’epidemiologa, dalla virologa all’esperto di contenimento. Per non parlare delle capsule Petri introdotte da una delle espansioni come contenitori dei cubetti malattia. Non a caso i diversi personaggi iniziano la partita ad Atlanta, sede della principale istituzione americana per la lotta alle epidemie, quel Centre for Disease Control and Prevention (CDC) che compare anche in serie come la già citata The Strain o The Walking Dead. Un’altra importante istituzione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fa invece la sua comparsa in Pandemia – Contagio, spin-off della serie in cui la prospettiva è ribaltata: questa volta i giocatori interpretano agenti patogeni che dovranno evolvere le proprie capacità di incubazione, contaminazione e resistenza per diffondersi il più possibile.

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E sempre a proposito di scienza, Pandemia è stato anche al centro di una ricerca condotta da due studiosi americani e pubblicata sull’International Journal of Game-Based Learning, che ha analizzato e quantificato i diversi processi di computational thinking che emergono dalle interazioni fra i giocatori.

Proprio quest’anno è arrivato in Italia l’ultimo nato della famiglia. Si tratta di Pandemia – Legacy, basato su un motore di gioco che consente di creare una sequenza di partite uniche, nelle quali l’esito di una influisce su quelle successive: alcuni personaggi verranno eliminati, alcune città “distrutte” dalla malattia. Una volta aperta la scatola, i giocatori non potranno guardarsi tutte le componenti poiché alcune verranno rivelate solo in base alle loro decisioni durante le partite ed è perciò fondamentale che restino segrete. Si tratta quindi di un’esperienza di gioco sempre più narrativa e immersiva, che fonde esperienza ludica, immedesimazione, ragionamento e capacità di coordinazione. E che, chissà, magari potrebbe invogliare qualcuno allo studio dell’epidemiologia.

@Lineegrigie

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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagini: Chris Norwood, Christopher Ross

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Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.