La laurea in Italia: pochi vantaggi rispetto all’investimento
Lo raccontano i dati del rapporto OCSE Education at a Glance 2015. L'Italia perde posizioni sul fronte dell'istruzione terziaria e il futuro del Paese si fa ancora più nero.
APPROFONDIMENTO – Nei giorni scorsi è girato in rete un grafico che mostra la posizione occupata dall’Italia per la percentuale di laureati nella fascia d’età 25-34 anni rispetto ai paesi membri dell’OCSE. Lo riproponiamo qui in una nostra rielaborazione:
È tratto dall’ultima edizione di Education at a Glance, un rapporto periodico sullo stato dell’istruzione nei Paesi membri dell’OCSE. La storia che raccontano i dati qui rappresentanti è che l’Italia (in rosso nel grafico), rispetto alla rilevazione precedente, è stata scavalcata dalla Turchia e ora occupa l’ultima posizione in termini di percentuale di laureati nella fascia d’età più bassa, molto lontana dalla media dell’EU a 21 Paesi (in blu) e dalla media OCSE (in arancione).
Le cose, però, sono ancora peggiori di quello che sembrano. Sempre prendendo i dati dal rapporto Education at a Glance, guardiamo cosa succede se prendiamo in considerazione tutta la popolazione tra i 25 e i 64 anni, grosso modo quella che possiamo pensare in “età da lavoro”:
L’Italia è ancora in ultima posizione, a parimerito con la Turchia e sempre lontana dalle medie EU e OCSE. Se ci concentriamo sulla fascia d’età 55 – 64, guardando a coloro che si sono laureati almeno una trentina di anni fa, quando le economie di Italia e Turchia erano piuttosto diverse da quelle di oggi, la situazione è la seguente:
La situazione ci vedeva comunque battagliare per la penultima piazza con la Turchia. In questi anni in cui il paese a cavallo tra Europa e Medio Oriente, pur in mezzo a mille controversie, si è guadagnato un ruolo di primo piano nell’economia della regione, aveva un profilo forse non molto diverso da quello italiano in termini di istruzione universitaria. Certo, ci sono molti fattori che un numero brutale come la percentuale di laureati non toccano nemmeno da lontano: la qualità dell’istruzione ricevuta, le reali possibilità di affermazione nel mondo del lavoro, lo scenario socio-economico che fa da contorno, la situazione politica, eccetera. Ma la tendenza non la si può negare.
Nel corso di 13 anni, tanti sono quelli presi in considerazione da questo grafico che mostra i dati percentuali per i 25-34enni, la Turchia ci è venuta a prendere, Repubblica Ceca e Slovacchia, due paesi che erano molto indietro all’inizio del millennio, ci hanno superato e la flessione dell’Italia è tutta lì nella linea azzurra. La Spagna, che sentiamo spesso molto affine all’Italia per vicinanza culturale, si trova in ben altre aree del grafico, mentre l’Irlanda, ovvero il paese europeo con la percentuale storica più alta, continua una tendenza positiva. Quindi, i numeri, seppure presi con le dovute e canoniche pinze, sembrano proprio mostrare una contrazione della formazione universitaria per gli italiani. Le ragioni saranno oggetto di dibattito politico (c’è chi già da colpe al governo Renzi) e intellettuale, nella speranza di trovare un modo di migliorare la situazione.
Ma c’è un elemento che può essere messo sul piatto di questa discussione già fin d’ora, guardando un altro grafico contenuto in Education at a Glance. Nel comunicato che accompagna il rapporto il primo paragrafo è intitolato “Nel mercato del lavoro e nella vita, l’istruzione è un investimento redditizio”. È davvero così? Dovrebbe esserlo, ma questo grafico sembra dire che in Italia questo non è più così vero.
Normalmente avere una laurea conferisce un vantaggio in termini di reddito, ma questo vantaggio non è uguale in ogni Paese. Il grafico mostra la percentuale di laureati 25-64enni (dimensione verticale) correlata con il vantaggio sul reddito da lavoro (dimensione orizzontale). L’Italia è lì solitaria in basso a sinistra: pochi laureati (e questo già lo sapevamo) che guadagnano piuttosto meno (143% in più rispetto ai non laureati) della media OCSE (160%). Dice lo stesso documento OCSE, nel suo executive summary: “Nonostante siano poco numerosi, i laureati in Italia guadagnano relativamente meno nel mercato del lavoro”. Semplifichiamo, ce ne rendiamo conto, ma attorno all’istruzione universitaria in Italia, c’è un paese che non riesce a valorizzare, mediamente, chi ha un’istruzione terziaria.
Se prendiamo il Canada come esempio, i laureati sono talmente tanti, che la sola laurea non basta a dare un forte vantaggio competitivo sul mercato del lavoro. Guardate, invece, che differenza fa in termini di reddito la laurea in Turchia o in Brasile: i pochi laureati hanno un vantaggio competitivo notevole. Ancora l’executive summary: “In media, in Italia come altrove, i laureati hanno redditi da lavoro più alti rispetto ai lavoratori con un livello d’istruzione inferiore. Tuttavia, l’Italia si distingue rispetto ai Paesi che registrano quote altrettanto piccole di laureati”. La situazione, quindi, è potenzialmente più nera di quella dipinta in rete dalle discussioni nate attorno al grafico da cui siamo partiti.
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