WHAAAT?

Guida galattica per giardinieri spaziali

Momenti di panico per le zinnie della Stazione Spaziale Internazionale. Ma anche lo stress vegetale non è stato inutile: ne sappiamo sempre di più sulla crescita delle piante in condizioni di microgravità

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WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Sulla Stazione Spaziale Internazionale, ogni momento della quotidianità riserva qualche sorpresa. Karen Nyberg ha mostrato come si lava una lunga chioma bionda in condizioni di microgravità, Stefano Polato ci ha spiegato come si prepara il cibo in modo che la ISS non venga invasa dalle briciole e, con la partenza di Samantha Cristoforetti, abbiamo capito meglio l’importanza di un laboratorio di ricerca nello spazio.

Così quando Scott Kelly (@StationCDRKelly) ha pubblicato su Twitter le foto delle zinnie che crescono sulla ISS con la muffa ed evidenti segni di stress, la notizia non sembrava delle migliori. Al contrario, per la scienza spaziale si è trattato di un’opportunità notevole. I ricercatori che dalla Terra monitorano le attività sulla ISS hanno sempre più informazioni sulla crescita delle piante in condizioni di microgravità, per assistere gli astronauti in uno dei passi più importanti per la vita nello spazio: coltivare il cibo in maniera autonoma (e godere dei benefici di un’attività come il giardinaggio in una condizione particolare come la vita sulla stazione spaziale).

Stress vegetale nello spazio

Cosa vediamo nella foto? Le zinnie mostrano segni di epinastia, ovvero foglie ripiegate verso il basso, spesso indice di allagamento delle radici, e di guttazione, l’eliminazione dell’acqua in eccesso attraverso gli stomi, sotto forma di goccioline che vediamo a occhio nudo (non è raro osservarlo anche nelle piante di casa, per esempio di notte in condizioni di elevata umidità, quando gli stomi sono chiusi e la pianta non traspira).

“Anche se piante non sono cresciute in modo perfetto”, spiega Gioia Massa della NASA, leader del gruppo di ricerca di Veggie, il Vegetable Production System in uso sulla ISS, “credo che abbiamo molto da guadagnare da questa situazione, stiamo imparando di più sulle piante e sui fluidi e anche su come migliorare il lavoro tra Terra e stazione. A prescindere dai fiori che sbocceranno, si tratta di un grande avanzamento”.

Le zinnie non sono le prime piante ospitate da Veggie ma seguono un primo esperimento con la lattuga, che non è andato troppo bene. Lo stress idrico è stato il principale problema incontrato dagli astronauti, che alla seconda “semina spaziale” hanno prestato ancora più attenzione. A occuparsene è stato Scott Kelly, che ha attivato Veggie all’inizio del luglio 2015 ed è riuscito a far crescere tutte le piante tranne una. Un mese più tardi, lui e il resto dell’equipaggio hanno mangiato l’insalata spaziale cresciuta sulla ISS.

Le zinnie non sono sulla stazione per decorare o finire nell’insalata e sono piuttosto delicate (luce e parametri ambientali vanno monitorati ancor più strettamente) ma sono utilissime per studiare la crescita e lo sviluppo dei fiori in condizioni di microgravità. Riuscire a coltivarle e a vederne i fiori rappresenta un ottimo punto d’inizio per provare a portare sulla ISS qualcosa di più sostanzioso: per esempio una pianta di pomodori spiega Trent Smith, project manager di Veggie. No, non le patate di The Martian, non ancora.

A notare le anomalie delle zinnie è stato lo statunitense Kjell Lingdren (@astro_kjell) e non ci è voluto molto a capire che si trattava della combinazione di due fattori: acqua in eccesso e problemi nel flusso d’aria che arriva a Veggie. Dopo aver osservato la guttazione e notevoli quantità di acqua in eccesso, gli astronauti hanno provato ad aumentare la velocità del ventilatore dell’unità, per asciugarla. A fine dicembre la situazione non era ancora risolta, le foglie stavano sempre peggio ed era comparsa la muffa: così Kelly, dotato di mascherina protettiva, ha tagliato via i tessuti malati (messi al sicuro nel freezer del laboratorio, così da poterli studiare al ritorno sulla Terra) ha ripulito le piante e lasciato in azione il ventilatore per asciugare la camera ed evitare la comparsa di nuova muffa.

Ma a Natale i problemi non erano ancora finiti. La sera del 25 dicembre Kelly ha chiesto supporto al team terrestre perché le piante si erano seccate troppo con il ventilatore, e la sua impressione era che servisse più acqua. Ma la tabella prevedeva di non annaffiarle fino al 27. “Penso sarebbe troppo tardi”, ha detto Kelly. “Sapete, se penso che stiamo cercando di andare su Marte, dove coltiveremmo il nostro cibo, sarebbe nostra responsabilità capire se le piante hanno bisogno di acqua o no. Come si fa con il giardino a casa, lo guardi e pensi ‘oh, forse dovrei annaffiare il prato oggi’”.

La guida galattica per giardinieri di zinnie

Così Kelly è diventato più ufficialmente il responsabile delle zinnie, acquistando maggiore autonomia grazie al supporto della “The Zinnia Care Guide for the On-Orbit Gardener”, una guida stilata apposta per lui. Niente pagine e pagine di procedure dettagliate: un’unica facciata con tutte le risorse necessarie a gestire la coltivazione sulla base delle conoscenze scientifiche attuali. Smith e Massa concordano sul fatto che questo imprevisto è servito esattamente al suo scopo: evidenziare un problema e scoprire come risolverlo. Se arrivassimo su Marte, ipotizza Smith, tagliare il tessuto morto e sterilizzare le piante funzionerebbe? Quali conseguenze avrebbe cambiare la tabella di innaffiamento? Come possiamo dare ai membri dell’equipaggio più opportunità nel prendere il controllo del giardinaggio sulla stazione?

La strada verso la coltivazione di piante nello spazio sembra seguire un percorso ben preciso, ovvero quello di lasciare agli astronauti la maggior autonomia possibile. Le capacità di Kelly e la su intraprendenza nel risolvere la questione anche senza il supporto terrestre sono state la chiave per venirne a capo. Il 16 gennaio, su Twitter, abbiamo visto la prima zinnia sbocciata nello spazio.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Quando faremo l’orto su Marte?

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Crediti immagine: NASA

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".