Metastasi del fegato, una possibile via con la terapia genica
Studio del San Raffaele condotto su modelli animali mostra che macrofagi possono essere convertiti in veicoli di geni anti-tumorali
SCOPERTE – Nel 2008 il team del professor Luigi Naldini, oggi direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (TIGET), sviluppava una tecnica per il trasferimento genico e ingegnerizzazione delle cellule del sangue per il trattamento dei tumori. Un approccio basato sull’utilizzo di vettori lentivirali in grado di inserire un gene che svolge attività antitumorale nelle cellule staminali ematopoietiche, quelle che poi andranno a differenziarsi nelle cellule del sangue che conosciamo: globuli rossi, globuli bianchi, piastrine e nei macrofagi. Proprio in questo settore inoltre, l’Ospedale San Raffaele insieme a Pierluigi Paracchi, Luigi Naldini e Bernhard Gentner ha fondato Genenta, una start-up biotecnologica che ha lo scopo di sviluppare possibili applicazioni di questa tecnica su tumori ematologici.
La strada per una di queste applicazioni è stata aperta proprio al San Raffaele, che ha pubblicato uno studio condotto dal team di Giovanni Sitia, che ha provato a testare la tecnica del professor Naldini nel caso delle metastasi al fegato causate da tumori del colon-retto su modelli murini, ottenendo promettenti risultati.
“Da anni mi occupo di studiare i meccanismi di metastasi del fegato e con il mio gruppo di ricerca al San Raffaele stiamo lavorando in collaborazione con il gruppo del professor Naldini per provare a vedere se questa tecnica di trasferimento genico oltre che per i tumori ematologici può funzionare anche sui tumori del fegato.” Purtroppo, molti pazienti con tumori del colon-retto nonostante i grandi progressi terapeutici ottenuti negli ultimi anni, sviluppano metastasi epatiche, di conseguenza è necessario sviluppare nuovi ed innovativi interventi terapeutici.
“I risultati finora ottenuti sono incoraggianti, anche se siamo ancora all’inizio, e ulteriore lavoro è necessario per poter effettuare sperimentazione clinica sull’uomo, che speriamo di riuscire ad effettuare nei prossimi anni. Al momento abbiamo lavorato su modelli preclinici sperimentali, che però sappiamo rappresentare solo un primo passo”.
“Si tratta di ingegnerizzare la cellula staminale in modo tale che la caratteristica che desideriamo inserire si manifesti solamente in una delle tipologie cellulari in cui poi la cellula staminale si differenzierà” precisa Sitia. Nel dettaglio, quello che la ricerca di Sitia e colleghi dimostra è che i macrofagi, cioè le cellule del sangue normalmente richiamate nel tumore, possono essere convertiti in veicoli di geni anti-tumorali che si accumulano proprio nel microambiente tumorale, combattendo la metastasi.
Il gene scelto in questo caso è l’interferone alfa, una molecola prodotta normalmente dal nostro organismo in risposta a infezioni e che ha dimostrato anche una potente attività anti-tumorale. Il problema dell’interferone è però l’elevata tossicità, ragione per cui era necessario far sì che il vettore lentivirale che lo conduceva dritto alla metastasi assicurasse l’attivazione dell’interferone solamente in un tipo di cellule differenziate: appunto i macrofagi. “Questa è la forza di questa tecnica: possiamo modificare i geni nella cellula staminale ematopoietica prima che si differenzi in modo tale che quando lo farà, a risultare modificate non saranno tutte le cellule del sangue in cui la staminale si differenzia, ma solo quella che desideravamo noi” spiega Sitia. Con questa tecnica quindi, si attivano i macrofagi che accumulano nel fegato grosse quantità di interferone, che agirà poi sulle metastasi come antitumorale.
Anche se i risultati sono interessanti, al momento si tratta solo di ricerca di base. “Non abbiamo ancora parlato di ricerca sull’uomo – conclude Sitia – ma quello che siamo riusciti a fare è molto importante, perché si tratta di un ulteriore dimostrazione positiva che la tecnologia sviluppata dal team del San Raffaele possa nei prossimi anni avere una applicazione positiva anche sui tumori del fegato. Ora si tratta di approfondire le ricerche.”
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