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Revenant, il dialogo fra DiCaprio e la Natura

Questa settimana la rubrica Stranimondi ci porta nei paesaggi mozzafiato di The Revenant, l'ultimo film di Alejandro Iñárritu

STRANIMONDI – Due ore e quartanta minuti circa di lotta durissima per la sopravvivenza, in mezzo a una natura meravigliosa e spietata, mozzafiato e ciecamente crudele. Nulla a che vedere con la serie francese Les Revenantes: qui nessuno resuscita, nessun mistero inquietante da scoprire, nessun elemento magico: solo lotta per sopravvivere, contro gli uomini, contro gli animali e più in generale contro la natura.

Questo in estrema sintesi è Revenant – Redivivo del regista messicano Alejandro González Iñárritu, nelle sale italiane in questi giorni e al centro di molti gossip mediatici riguardo al fatidico Oscar per il Miglior Attore Protagonista che finalmente potrebbe arrivare a Leonardo DiCaprio, protagonista – ma non solitario – di questo film. Pochissimi dialoghi, un ritmo molto lento capace di sfinire lo spettatore, che per certi versi attraverso la fatica visiva può in parte – in minima parte – esperire il senso di sfinimento e di lotta che tocca a Hugh Glass, l’avventuriero e cacciatore di pelli interpretato da DiCaprio.

La trama

Il film prende spunto dalla vera storia di Glass: siamo in North Dakota, nel 1823. Glass deve guidare una squadra di cacciatori di pelli in una terra fredda e inospitale, resa pericolosa non solo dalle bassissime temperature ma anche dall’incombente minaccia portata da alcune tribù indiane, che sin dai primi minuti risultano essere imprevedibili e letali. L’assalto dei nativi americani mette in fuga la squadra di Glass, che si disperde fra le montagne e le foreste del North Dakota. Procedendo nell’entroterra Glass, che guida la spedizione, viene brutalmente assalito da un orso, che lo riduce in fin di vita.

Abbandonato dai compagni e con il tarlo della vendetta verso il cacciatore Fitzgerald – ottimamente interpretato da Tom Hardy – che si era preso in carico la sua assistenza ma che lo aveva tradito, Glass si ritrova solo ma molto determinato a raggiungere il forte e pareggiare i conti con Fitzgerald. La trama è tutta qui. Come detto i dialoghi sono rari, ridotti al minimo indispensabile. Altre trame e sottotrame sono solamente accennate, spiegate pochissimo e anche lasciate abbastanza sospese. Al regista interessano il giusto: al centro di tutto c’è Glass contro la natura, l’Islandese di Giacomo Leopardi protagonista dell’Operetta Morale Dialogo della Natura e di un Islandese, che curiosamente è di fatto contemporanea ai fatti vissuti da Glass (l’Operetta è stata scritta da Leopardi nel 1824).

Fra ampi paesaggi e primi piani

Visivamente il film è spettacolare, difficile definirlo altrimenti. Il bianco delle montagne e il verde-marrone delle foreste sono i colori dominanti. È un film esteticamente sublime per lo spettatore, nel senso più preciso e filosofico del termine: la natura è meravigliosa ma fa paura, chi guarda si sente al sicuro dal caldo della sua poltrona al cinema ma difficilmente può restare indifferente davanti alle sventure di Glass.

Immedesimarsi è facile. Le immagini sono così vivide da poter provare il freddo pungente della neve e dell’acqua dei fiumi, quasi si sente l’odore del sangue delle ferite tanto magistralmente sono ricostruite sul corpo di DiCaprio. Estremamente curata la scena dell’attacco dell’orso, girata grazie a uno stuntman sul quale poi, in computer grafica, è stato modellato l’animale. Per lunghi tratti il film si divide in queste magnificenti immagini del panorama montano del North Dakota con i primi piani di un DiCaprio estremamente espressivo, ricchi di dettagli anche molto crudi nei momenti di maggior agonia del personaggio. Oscar o no, la sua recitazione è davvero notevole.

Un film sublime ma faticoso

Al netto quindi dell’esperienza visiva sublime il film risulta comunque molto faticoso. Dopo la prima ora il vagare di Glass e l’incredibile serie di sfortune che gli capitano rendono la narrazione forse un po’ forzata nel voler a tutti i costi esaltare lo spirito di rivalsa di Glass verso il traditore e nemico Fitzgerald. Allo stesso tempo, come detto, gli indiani sono una minaccia incombente ma mai definita del tutto. Certi avvenimenti restano sospesi e a volte un po’ inspiegabili: in una scena Glass si ritrova inseguito da moltissimi indiani che lo costringono a gettarsi da un burrone insieme al cavallo, che muore nella caduta, mentre Glass risulta perfettamente illeso. Federico Gironi su ComingSoon.it ha definito il film un western della National Geographic: difficile non essere d’accordo. La natura è dominante, fin troppo, e alla lunga finisce per diventare un po’ troppo un esercizio di stile – per quanto, s’è detto, visivamente grandioso – a scapito della storia e del ritmo a tratti eccessivamente lento.

Due modi di intendere la natura

Un altro recente caso cinematografico dell’uomo immerso nella natura è Into the wild di Sean Penn, film del 2007. Il film è ispirato dalla vera storia di Christopher McCandless, deciso a cambiare totalmente la sua vita e a raggiungere l’Alaska per vivere in modo solitario e immerso nella natura.

Sebbene con premesse differenti e anche con stili narrativi diversi, i due film mettono entrambi al centro l’uomo che da solo sfida la natura. Il percorso dei due protagonisti è di fatto opposto: McCandless lascia la città e una vita che ritiene artificiale per tornare all’essenzialità della natura. Glass invece non può fare altrimenti, si trova già in mezzo alle terre selvagge e deve sfidarle per ritornare al forte con il resto della sua squadra e raggiungere la salvezza. Non c’è nel protagonista di Revenant una natura idealizzata e fin troppo mitica, quasi banale, come quella del protagonista di Into the wild. Speculare è anche lo sguardo dei registi: le immagini di Penn sono altrettanto belle – e più varie, visti i numerosi paesaggi che McCandless incontra nel suo viaggio per raggiungere l’Alaska – ma la natura risulta anch’essa idealizzata, manca quell’aspetto feroce, cieco e crudo di Iñárritu.

Il finale drammatico di Into the wild non fa sconti, tuttavia fa ricadere di più le responsabilità sulle scelte del singolo personaggio, volenteroso ma impreparato per muoversi nelle Terre Selvagge. Come detto, sebbene Iñárritu sappia dipingere un grandioso dipinto naturale lo fa sottolineandone anche la spaventosa capacità di essere talvolta inospitale. A sottolineare i diversi stili e modi di guardare al mondo naturale c’è la musica: sussurrata e poetica quella di Into the wild affidata al cantante e chitarrista Eddie Vedder, più imponente e cupa, con diversi riferimenti agli elementi naturali, quella che Iñárritu ha affidato ai compositori Ryūichi Sakamoto e Alva Noto.

@enricobergianti

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.