RICERCANDO ALL'ESTERO

Quanto è massiccio un buco nero supermassiccio?

Questi buchi neri si trovano al centro delle galassie e hanno una massa superiore di milioni-miliardi di volte a quella del Sole. Capire come funzionano e come si formano è la nuova frontiera degli studi sull'evoluzione dell'Universo

“Nei buchi neri c’è tanta massa concentrata in poco spazio: come si arriva alla loro formazione rimane un mistero”. Crediti immagine: NASA, Wikimedia Commons

RICERCANDO ALL’ESTERO – “Ho deciso che volevo lavorare sui buchi neri quando avevo 10 anni. Niente riesce a sfuggire al campo gravitazionale di un buco nero, nemmeno i fotoni. Sono regioni al centro delle nostre galassie di cui non sappiamo quasi nulla, né perché sono là né che funzione hanno. Ci manca un grosso pezzo di informazione se vogliamo capire da dove veniamo”.

picture_GisellaDeRosaNome: Gisella De Rosa
Età:
31 anni
Nata a: Vasto (CH)
Vivo a: Baltimora (Stati Uniti)
Dottorato in: Astronomia (Heidelberg, Germania)
Ricerca: Nuclei galattici attivi: ieri, oggi, domani.
Istituto: Max-Planck-Institut für Astronomie (Heidelberg, Germania), The Ohio State University (Columbus, Stati Uniti), Space Telescope Science Institute (Baltimora, Stati Uniti)
Interessi: fotografia, ballo, leggere, mio figlio.
Di Baltimora mi piace: è una città vera, diversificata in termini socio-economici.
Di Baltimora non mi piace: l’umidità in estate.
Pensiero: Cause everything I am NOT, made me everything I am (Kanye West).

Cosa sono i nuclei galattici attivi?
La maggior parte delle galassie contiene nel centro almeno un buco nero supermassiccio, in alcuni casi particolarmente brillante e luminoso in altri meno, come quello al centro della Via Lattea. I nuclei galattici attivi sono sorgenti in crescita in cui, man mano che la materia cade nel buco nero, l’altissima velocità a cui questo succede genera attrito che, riscaldando le particelle, crea l’emissione di radiazioni. Quindi luce. Questi buchi neri sono inesorabilmente legati alla galassia che li ospita, soprattutto per quanto riguarda la loro massa e la dispersione di velocità delle stelle nel bulge della galassia e la sua luminosità.

La cosa che vogliamo capire è come la crescita di questi buchi neri supermassicci interagisce con la crescita della galassia stessa, cioè quali sono i meccanismi e le relazioni tra le due crescite, sia ad alto che a basso redshift. Il redshift cosmologico è lo spostamento verso il rosso della frequenza di un’onda elettromagnetica: dà un’idea di quanto distante è un oggetto e quindi di quanto stiamo guardando indietro nello spazio-tempo: gli oggetti più lontani, formatisi quando l’universo era giovane, hanno un redshift alto (z=6 o 7); quelli più vicini hanno redshift attorno allo zero. I buchi neri vicini, anche se meno luminosi, sono quelli che riusciamo a studiare più nel dettaglio, mentre per quelli a redshift molto alto cerchiamo più che altro di fissare dei vincoli sui loro meccanismi di formazione e crescita.

Quali sono i metodi che utilizzate per questo tipo di studi?
Per caratterizzare meglio i buchi neri bisogna capire innanzitutto quanto sono massicci, cosa che ovviamente non possiamo misurare in maniera diretta. Se parliamo di regioni proprio molto vicine a noi, e sono pochissime, si può per esempio osservare come si muovono le stelle in prossimità del buco nero. Per quelli più lontani ci sono altre strategie, come il reverberation mapping. Si tratta di mappare una sorta di eco di luce, di riverbero, osservando la sorgente ogni notte per diversi mesi, e di studiare l’andamento della luminosità in funzione del tempo.

Dal punto di vista fisico quello che succede è che il buco nero sta accrescendo la sua massa e il gas che ci cade dentro forma un disco che si scalda molto, emette radiazioni ad alte energie con spettro continuo e ionizza il gas circostante. Il gas ionizzato emette a sua volta radiazioni, in questo caso come righe larghe.
Se immaginiamo che questa sorgente centrale cambia nel tempo, pulsa, il flusso di energia che ionizza il gas circostante varia anch’esso nel tempo così come varia la risposta del gas che viene ionizzato. Il ritardo dell’emissione finale rispetto alla sorgente centrale corrisponde alla distanza che la luce impiega a percorrere lo spazio tra l’interno e l’esterno del disco. Se riesco a misurare questo ritardo, posso ottenere una stima della distanza tra il gas esterno e la sorgente centrale.

Ora manca solo un dato per stimare la massa, cioè la velocità del gas ionizzato. La cosa interessante è che questo gas, dato che si trova nel campo gravitazionale del buco nero, si muove così velocemente da generare righe di emissione molto larghe. La loro larghezza è legata la velocità del gas. A questo punto, metto insieme distanza e velocità e ho una stima della massa del buco nero supermassiccio. Questa tecnica viene molto usata dagli astronomi ed è alla base delle stime indirette di tutte le masse di nuclei galattici attivi, dall’universo locale fino a redshift 7.

C’è una relazione tra distanza del gas e luminosità del nucleo galattico attivo?

Sì, l’idea è che più una sorgente è luminosa più il raggio della regione ionizzata è grande: si parla di relazione raggio-luminosità. Le sorgenti più luminose sono quelle più lontane, dato che devono emettere abbastanza fotoni da essere “visibili”, e per quanto detto prima sono anche molto grandi. Per poter fare un loro reverberation mapping, considerando anche la dilatazione spazio-temporale, dovremmo raccogliere misure per decine di anni.

Un modo alternativo per stimare le masse dei buchi neri più lontani consiste nel prendere il loro spettro e registrare la luminosità del loro flusso ionizzante. Assumendo che segua la stessa relazione raggio-luminosità dei corpi vicini, posso fare una stima del raggio e combinarla con la misura della velocità del gas ottenuta dalla larghezza delle righe di emissione larghe. Riesco così a ottenere la stima della massa di un buco nero supermassiccio fino a redshift 7, cioè quando l’universo aveva 0,8 miliardi di anni. Considerando che adesso ne ha 14 miliardi, si può ben capire la potenza del metodo.

Dai dati ottenuti a che conclusioni siete giunti?
Per quanto riguarda i buchi neri supermassicci ad alto redshift, abbiamo scoperto che possiamo quasi sicuramente escludere una formazione di tipo stellare perché le masse che misuriamo sono troppo elevate. Probabilmente ci vogliono meccanismi più complessi, che possono essere il collasso diretto di nubi di gas o la fusione di ammassi di stelle.

Per i buchi neri a basso redshift, abbiamo fatto una campagna di reverberation mapping utilizzando il telescopio spaziale Hubble e una ventina di telescopi da terra. Abbiamo osservato per 6 mesi una sorgente che si chiama NGC 5548 e abbiamo visto che ha un disco di accrescimento molto più grande di quello che pensavamo, a conferma di quanto poco conosciamo queste sorgenti. Lo scopo finale del progetto è capire com’è distribuito il gas nel nucleo galattico attivo, caratterizzando la sua geometria e la sua cinematica. Semplificando, vogliamo misurare l’eco del gas a diverse lunghezze d’onda che equivalgono a diverse velocità, costruendo così delle mappe velocità-ritardo.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Per l’universo locale la nuova frontiera è caratterizzare la struttura dei nuclei galattici attivi.
Per l’universo lontano, vogliamo studiare oggetti meno massicci, osservando sorgenti sempre più deboli che dovrebbero corrispondere a una popolazione di buchi neri meno evoluta. Una parte del mio lavoro consiste anche nel prendermi cura di uno degli strumenti sul telescopio spaziale Hubble. Infine, stiamo costruendo e finalizzando il James Webb che sarà il nuovo telescopio che verrà lanciato nel 2018.

Leggi anche: Perché alcune galassie producono getti luminosi e altre no

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.