Talco e cancro ovarico: facciamo chiarezza
Negli Stati Uniti la Johnson&Johnson dovrà pagare grossi risarcimenti alle famiglie di donne ammalatesi di cancro alle ovaie per aver usato il talco prodotto dalla multinazionale. Ma alla prova dei fatti nessuno studio clinico ha mai studiato questa correlazione.
SALUTE – “Non vi è nessuna evidenza scientifica per asserire con certezza che l’utilizzo del talco provoca il cancro alle ovaie”. Questo il commento rilasciato a OggiScienza dalla dottoressa Domenica Lorusso, Dirigente medico presso l’Istituto Tumori di Milano, a poche ore dalla sentenza di una giuria del Missouri che nel 2016 ha condannato la Johnson & Johnson a pagare ben 72 milioni di dollari di risarcimento alla famiglia di una donna morta di cancro alle ovaie.
[Nota della redazione: arrivati al 2018 c’è un’altra sentenza, con ulteriore risarcimento danni da parte della multinazionale]
La morte, secondo la sentenza, è correlata con l’utilizzo per l’igiene intima di due prodotti della nota azienda contenenti talco. Secondo l’accusa, la Johnson & Johnson sarebbe stata a conoscenza della pericolosità dei prodotti e avrebbe taciuto per non compromettere le proprie vendite.
“Si tratta di una sentenza che sconcerta la comunità scientifica, dato che a oggi non abbiamo dati incontrovertibili e studi clinici controllati per testare la possibile cancerogenicità del talco”, dice Lorusso.
La questione non è del tutto nuova
La Johnson & Johnson non è stata tirata in causa per caso. Nel maggio del 2009 un gruppo di consumatori mise in piedi una campagna, la Campaign for Safe Cosmetics, chiedendo all’azienda di eliminare alcuni ingredienti dai suoi prodotti per la cura personale per bambini e adulti.
Dopo tre anni di petizioni, pubblicità negativa e una minaccia di boicottaggio, l’azienda nel 2012 ha definitivamente eliminato gli ingredienti in questione, che erano 1,4-diossano e formaldeide, entrambi considerati probabili cancerogeni per l’uomo. “Probabilmente proprio questo fatto ha alimentato le opinioni negative che hanno portato alla sentenza, anche se non è mai stato fatto alcuno studio clinico conclusivo sugli effetti del talco” sottolinea la dottoressa.
Gli errori qui sembrano essere molti. Anzitutto la sovrapposizione fra quello che è un possibile fattore di rischio cancerogeno e un agente eziologico conclamato, come sono l’amianto per il mesotelioma e il fumo per il tumore del polmone. A differenza di questi ultimi, dice Lorusso, il talco non è mai stato sottoposto a uno studio clinico che abbia dato un risultato di certezza sul suo ruolo nel carcinoma dell’ovaio.
Vi sono stati in passato solo degli studi epidemiologici che hanno messo in luce un’associazione fra l’insorgenza del tumore ovarico e le donne che consumavano il talco per l’igiene intima, associazione non confermata in successivi studi e quindi i dati finali sono assolutamente contraddittori. La differenza fra uno studio epidemiologico e uno clinico è che il primo si limita a osservare la presenza di un fenomeno in una certa popolazione, individuandone gli aspetti principali, mentre il secondo studia, clinicamente, il fenomeno nelle persone interessate.
Insomma, una storia non così lontana dal fraintendimento solo di qualche mese fa a proposito della cancerogenicità della carne rossa. Anche in quel caso la stampa e l’opinione pubblica hanno confuso fra quello che è un possibile cancerogeno (i cui effetti non si possono escludere, ma al tempo stesso non si possono affermare perché non sono ancora stati studiati) e un agente eziologico, cioè una causa vera e propria, per il quale è stata cioè dimostrata e confermata la correlazione con l’insorgenza del cancro.
“Peraltro in questa sentenza si parla genericamente di tumore ovarico, quando invece sappiamo che ci sono almeno cinque tumori ovarici diversi” precisa la Lorusso.
“Il cancro è una malattia come sappiamo estremamente eterogenea e soprattutto multifattoriale, per cui prima di parlare di una causa per il cancro, è necessario definire con precisione di che cosa si sta parlando esattamente per evitare il rischio che un’informazione così generica crei un panico scientificamente infondato”.
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