Cancro al colon, non è solo “colpa” della carne rossa
La malattia può essere dovuta anche a fattori genetici ereditari o a malattie come il Crohn. E non dimentichiamo alcol e obesità
APPROFONDIMENTO – La parola cancro fa sempre molta paura, e ci fa sentire responsabili per la nostra salute. La misura di questa responsabilità però è una questione delicata. La querelle carne rossa sì, carne rossa no, sta letteralmente riempiendo le pagine dei giornali e le giornate degli opinionisti in tv, rischiando di fare molta confusione. Fraintendendo il messaggio della recente monografia dello IARC, si fa riferimento alla cancerogenicità delle carni rosse lavorate come una presunta causa per il cancro al colon-retto, quando invece i termini esatti della questione sono altri: un consumo giornaliero di 50 grammi di carne rossa lavorata aumenta del 18% il rischio di sviluppare nella propria vita il cancro al colon-retto.
Un tumore che è uno fra i più diffusi fra la popolazione, il secondo nel caso delle donne dopo il tumore alla mammella e il terzo per gli uomini. Secondo l’ultimo rapporto AIRTUM sui numeri dei tumori in Italia, si stima che il rischio di ammalarsi di cancro al colon-retto è 11 per gli uomini e 18 per le donne, in media 14. Cosa significano questi numeri? Che è necessario seguire in media 14 soggetti sani durante la loro vita, da 0 a 84 anni, per trovarne uno che si ammalerà di cancro al colon.
Ciò significa quindi che è nostra responsabilità l’insorgenza di questo tipo di tumore, che basta mangiare meno carne rossa o non mangiarne affatto, per non ammalarci? No. La dieta che scegliamo può incidere sull’insorgenza della malattia, ma il tumore ha una serie di cause, alcune legate alla dieta e all’alimentazione, altre genetiche e altre di tipo non ereditario. Vediamole una per una.
I fattori genetici
Anzitutto ci sono i fattori genetici, che giocano un ruolo non secondario per certi pazienti. Il cancro al colon può essere ereditario, in particolare nel caso di malattie come le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l’adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) o quella che viene chiamata carcinosi ereditaria del colon-retto su base non poliposica, detta anche sindrome di Lynch. In media si calcola che la probabilità che un genitore su 2 che ha sviluppato una di queste malattie nel corso della propria vita trasmetterà il gene alterato a un figlio. Il rischio di sviluppare il tumore è triplo nei parenti di primo grado con meno di 50 anni di pazienti affetti dalla malattia o da polipi intestinali.
I fattori non ereditari
Non tutti i casi di cancro al colon-retto, ovviamente, sono ereditari. Ci sono anche altri fattori patologici che favoriscono l’insorgenza della malattia (N.B qui non stiamo parlando di causare, ma di favorire l’insorgenza). Il primo è la rettocolite ulcerosa, una malattia infiammatoria autoimmune che coinvolge la mucosa del colon-retto, un altro il morbo di Crohn.
Perché dieta sì e obesità no?
Da tempo è cosa nota che la dieta ha comunque un ruolo importante su questo, in particolare i medici consigliano un’alimentazione senza un consumo eccessivo di grassi animali, ma ricca di fibre che si trovano in frutta e verdura. Ma a ben vedere la lista non finirebbe qui. Nei moniti degli esperti compare anche il consiglio di bere al massimo un bicchiere di vino al giorno, durante i pasti, di ridurre l’apporto di sale e di conservanti e soprattutto di dimagrire se si è sovrappeso. Eppure, questo ultimo avvertimento fa poca notizia.
Ancora troppo poco screening
Sebbene si tratti del secondo tumore più diffuso, si fa ancora poca prevenzione. Secondo i dati AIRTUM nel 2014 solo una persona su 2 sopra i 50 anni che è stata invitata allo screening, ha effettivamente aderito alla campagna, con enormi differenza fra nord e sud. Questo anche se, sebbene l’incidenza del tumore sia elevata (il 13% dei pazienti oncologici soffre di questo tumore), la prognosi può essere oggi nella maggior parte dei casi positiva. Il 74% dei malati di cancro al colon-retto sopravvive a 5 anni dalla diagnosi, e il 91% di questi ad altri 5 anni.
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