Una strategia comune contro HIV e tumori?
Lo stress ossidativo potrebbe diventare una delle armi a nostra disposizione per combatterere sia il cancro, sia il virus responsabile dell'AIDS
SALUTE – Siamo bombardati da pubblicità di integratori e diete alla moda che magnificano le proprietà degli antiossidanti. La teoria è semplice: le sostanze che riducono lo stress ossidativo proteggono le nostre cellule da pericolose mutazioni che potrebbero persino portare allo sviluppo di tumori. Dopo decenni di ricerca, però, non c’è ancora nessuna prova solida che gli antiossidanti abbiano un effetto protettivo, e di recente si è scoperto che un farmaco contro il diabete con proprietà antiossidanti può promuovere lo sviluppo dei tumori. Secondo gli autori di una review appena pubblicata su Journal of Clinical Investigation diversi studi suggeriscono addirittura uno scenario opposto a quello a cui siamo abituati: aumentare lo stress ossidativo (invece di contrastarlo) potrebbe essere un’arma per combattere non solo i tumori, ma anche l’HIV.
Abbiamo chiesto al medico Andrea Savarino (Istituto Superiore di Sanità, Roma), che ha coordinato il lavoro dei coautori Moran Benhar (biochimico, Israel Institute of Technology), Iart Luca Shytaj (biologo, Istituto Superiore di Sanità, Roma) e Jonathan S. Stamler (medico, direttore dell’Harrington Discovery Institute presso University Hospitals Case Medical Center, Ohio) di spiegarci questa analisi.
Come mai negli ultimi decenni i medici si sono interessati così tanto agli antiossidanti?
Per quanto riguarda i tumori si è partiti dall’osservazione che lo stress ossidativo nelle cellule, cioè l’aumento di specie chimiche ossidanti, poteva danneggiare il DNA e quindi produrre anche mutazioni cancerogene. Anche i primi tentativi terapeutici contro l’HIV avevano tentato la strada degli antiossidanti, poiché si era osservato nelle cellule malate un accumulo di sostanze pro-ossidanti. Nel caso dell’HIV l’effetto terapeutico degli antiossidanti (ammesso che esistesse) era però molto modesto, e questo filone di ricerca è stato gradualmente abbandonato dopo l’introduzione della terapia antiretrovirale, l’unica arma attualmente disponibile per tenere a bada la malattia.
Secondo gli studi da voi esaminati sembrerebbe, al contrario, che lo stress ossidativo possa combattere sia i tumori che HIV, ma in che modo?
I due principali sistemi antiossidanti delle nostre cellule sono quello della tioredossina e quello del glutatione. Esistono farmaci che possono inibire l’attività di questi sistemi, facendo quindi aumentare le specie chimiche ossidanti, e sono ora a disposizione molti studi in vitro, in vivo e simulazioni in silico che ne hanno analizzato gli effetti. Nelle cellule tumorali lo stress ossidativo promuove la morte cellulare e limita la loro proliferazione, e in alcuni studi clinici la somministrazione di sostanze pro-ossidanti ha infatti aumentato l’efficacia della terapia antitumorale in corso (per esempio radioterapia e chemioterapia, che a loro volta hanno un’azione pro-ossidante).
Un’azione simile è stata osservata anche contro i reservoir virali, cioè le cellule dentro le quali rimane latente il virus dell’AIDS, invisibile al sistema immunitario. Inoltre, nonostante lo stress ossidativo riduca il numero di linfociti, paradossalmente l’attività del sistema immunitario contro il virus risulta potenziata. La popolazione di linfociti, infatti, è composta in maggioranza da cellule che riconoscono antigeni virali altamente conservati, ma le continue mutazioni di HIV portano anche alla creazione di linfociti specifici contro moltissimi antigeni, che però sono praticamente inutili contro l’infezione. Una delle teorie è che lo stress ossidativo agisca in modo simile a un “collo di bottiglia” evolutivo, e statisticamente tenda a eliminare proprio quei linfociti che sono meno vantaggiosi contro il virus, facendo aumentare in proporzione i linfociti più utili.
E importante sottolineare che sia per i tumori, sia per l’HIV, è necessario colpire contemporaneamente sia il sistema della tioredossina, sia quello del glutatione, perché è stato osservato che uno dei due tende ad aumentare la sua attività antiossidante per compensare l’inibizione dell’altro.
Ci sono degli studi clinici in corso che permettano di testare queste teorie terapeutiche sui tumori?
Ci sono diversi studi clinici in corso o in preparazione che utilizzano auranofin (un farmaco che inibisce solo il sistema della tioredossina) in associazione a chemioterapici contro leucemia linfocitica cronica, tumore ovarico e tumore al polmone. Altri studi stanno invece utilizzando la butionina sulfossimina (BSO), che inibisce il sistema del glutatione. I risultati preclinici sembrano promettenti, cioè è stata osservata un’attività antitumorale che riteniamo giustifichi la teoria di aggredire contemporaneamente entrambi i sistemi antiossidanti. Queste sperimentazioni, unite a ulteriori esperimenti sulle cellule e nei modelli animali, stanno quindi raccogliendo importanti dati scientifici, ma serviranno ancora diversi anni di studi per arrivare a un possibile protocollo che sfrutti efficacemente e in sicurezza l’inibizione di entrambi i sistemi antiossidanti nella terapia contro i tumori.
Il suo laboratorio ha sperimentato sui macachi un protocollo terapeutico contro l’HIV che sfrutterebbe alcuni dei meccanismi illustrati nella review, ottenendo quella che sembra una “cura funzionale”. In questo caso a che punto è la sperimentazione sull’uomo?
Purtroppo ci sono molte difficoltà nel proseguire questa ricerca in Italia. Al momento è in corso una sperimentazione in Brasile, ma per ora il trial sta somministrando una terapia antiretrovirale potenziata con l’aggiunta del solo auranofin. In mancanza di BSO, è molto improbabile che alla sospensione della terapia prevista dopo sei mesi ci siano gli stessi effetti osservati nel modello animale. Questa prima sperimentazione, per quanto incompleta, dovrebbe però aprire la strada a uno studio clinico con protocollo completo. In generale, dal momento che i tumori e l’HIV presentano diverse similarità sia dal punto di vista clinico (per esempio, cellule cancerose e serbatoi virali tendono a non essere riconosciute dal sistema immunitario) sia dal punto di vista epidemiologico (i pazienti sieropositivi sono più a rischio di sviluppare cancro in regioni dove vi è minore accesso alle terapie antiretrovirali, come in alcune parti dell l’Africa Sub Sahariana), il nostro giudizio è che i vari studi da noi citati, così come i possibili meccanismi e le strategie alla loro base, debbano essere seriamente approfonditi.
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