Suoni bestiali, alla scoperta della comunicazione acustica degli animali
Non solo uccelli canori ma le complesse vocalizzazioni delle orche, le conversazioni tra prede e predatori e gli inganni di abili imitatori. Un nuovo libro ci accompagna tra le peculiarità della bioacustica
LIBRI – “Chi, come me, fa lo zoologo, e vive studiando gli animali, spesso sente l’esigenza di raccontarli a chi invece, magari più o meno affezionato abitante di ecosistemi urbani, li frequenta di meno”. Parte da qui Danilo Russo, docente di Conservazione della Natura e Gestione delle Aree Protette all’Università degli Studi di Napoli Federico II, per parlarci di bioacustica, la scienza che studia la comunicazione acustica degli animali, nel suo nuovo libro “Suoni Bestiali” edito da Tarka (160 pagine, 12,50€).
Anche ai più cittadini di noi, in realtà, di suoni bestiali ne vengono in mente a bizzeffe: gli iconici ululati dei lupi, il canto degli uccelli, il gracidare delle rane e via dicendo. Ma quante volte ci soffermiamo a chiederci “a cosa servono questi richiami?” o “essere così chiassosi non attirerà dei predatori?” e ancora “specie diverse capiscono i reciproci richiami, o perlomeno sono in grado di sfruttarli in qualche modo?”. La bioacustica, che come molte altre branche della ricerca è in continua evoluzione, ha risposto e cerca di rispondere a queste e molte altre domande.
Il punto di partenza è che se una specie produce un suono, che si è fissato nel suo patrimonio comportamentale, deve trarne un qualche vantaggio. Così come chi quel suono lo ascolta, amico o nemico che sia. Pensiamo al canto degli uccelli, forse il primo a venirci in mente quando si parla di animali e suoni: per molte specie il canto è il modo in cui l’individuo segnala la sua condizione di salute, un messaggio onesto, che permette alle femmine di valutare i geni del maschio, dunque se sarà o meno un buon compagno e/o un buon padre. Ma è anche un segnale estremamente complesso, diverso di specie in specie: non è raro che si riesca a distinguere tra due specie cosiddette “criptiche”, ovvero molto simili tra loro, proprio studiandone la reazione ai reciproci vocalizzi. In altre, come il passero golabianca (Zonotrichia albicollis) i maschi cantano di meno una volta trovata una compagna, ma riprendono a farlo se la si allontana dal nido. Altre che possiamo incontrare anche in Italia, come il luì verde (Phylloscopus sibilatrix) riservano una versione del canto non accentata per allontanare i rivali, un’altra accentata per attrarre le signore luì.
Tra le pagine di “Suoni bestiali” si incontrano anche specie meno note, ma talmente geniali che è impossibile non apprezzarle: non tarderete a trovare una favorita, ma la mia è la fainopepla nera (Phainopepla nitens), che vive negli Stati Uniti meridionali e può imparare i versi di oltre dieci altre specie di volatili. A cosa le serve? Il suo richiamo di allarme -insieme a tutte le imitazioni- è in grado di attirare gli uccelli delle specie imitate e indurli ad attaccare il predatore che la sta minacciando. Come se non bastasse sa imitare anche il verso di un rapace, che sentendolo fare si intimidisce (o forse di stupisce?) a tal punto da mollare la presa, permettendole di fuggire. Ma il passaggio successivo è ancora più affascinante: la fainopepla, pare, emette richiami tali da attirare anche animali come i coyote, ovvero i predatori del suo predatore. Nel suo caso, imitare paga.
E che dire del cuculo? La sua imitazione (o per meglio dire inganno) è piuttosto famosa: questo parassita dei nidi depone le proprie uova nei nidi di 50 e più specie, lasciando i malcapitati proprietari a prendersi cura della sua prole. Schiusosi l’uovo, il piccolo cuculo non tarderà a eliminare la concorrenza, ovvero le uova dei legittimi occupanti del nido, per attirare su di sé le attenzioni. Ma anche la bioacustica svolge un ruolo, meno conosciuto: il verso del piccolo impostore, da solo, somiglia molto di più al coro di più pulcini (ad esempio i piccoli della cannaiola, Acrocephalus scirpaceus, tra le specie più parassitate) che non al pigolio di un singolo. Così il cuculo scongiura il rischio che i genitori, per risparmiare le energie, portino al nido il cibo per uno. Che in questo caso è un “uno” parecchio abbondante.
L’imitazione e l’inganno sono forse tra gli aspetti più intriganti della comunicazione acustica tra animali, ma se il tema vi attira non potrete che appassionarvi anche a tutti gli altri esempi del libro, che in modo graduale -e mai noioso- non lascia nessun dubbio o domanda senza risposte. E apre a un mondo di interazioni incredibili, così sofisticate da farci pensare a quante altre conversazioni animali avvengono in natura, intorno a noi, senza che ce ne rendiamo conto. Ad esempio tra prede e predatori, che “parlano” tra loro per salvarsi la pelle, le prime, e risparmiare le energie, i secondi.
Un esempio, molto caro all’autore, ci porta in India ed è quello del cervo pomellato (Axis axis) e della tigre. Il bel mantello del cervo gli permette di mimetizzarsi nella foresta, ma non lo mantiene al 100% al sicuro dagli occhi attenti del felino. Quando questo succede, e il cervo se ne rende conto, comunica con il suo predatore: solleva la coda e inizia a battere una delle zampe anteriori, mentre emette dei versi simili a latrati. A che scopo? Sta dicendo alla tigre “so che sei qui, se mi attacchi riuscirò a scappare”. Lui sopravvive, lei evita lo spreco di energie di un inseguimento senza pasto finale. Certo, penserete voi, fossi un cervo latrerei a prescindere in modo da evitare ogni attacco. Eppure l’inganno tra animali non sempre ripaga, ma il perché lo potete scoprire, approfonditamente, tra le pagine del libro. Che a segnali onesti e disonesti dedica due interi capitoli.
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