Se sei sano ti servono i probiotici?
Se la flora intestinale è poco equilibrata per via di una patologia i probiotici possono aiutare a ripristinarla. Ma le evidenze sulle persone in salute sono scarse
SALUTE – Lactobacillus, Bifidobacterium e tutti gli altri: secondo alcuni scienziati il marketing che promuove l’uso di probiotici anche nelle persone sane potrebbe aver superato di gran lunga le conoscenze scientifiche al riguardo. Ha davvero senso assumerli se siamo sani? Una revisione in open access su Genome Medicine sembra concludere che la risposta è no. L’articolo ha indagato la relazione tra il consumo di probiotici e le condizioni del microbiota fecale, l’insieme di microorganismi simbionti che ospitiamo nel nostro tratto intestinale (più famosi come “flora intestinale”).
La definizione corrente di probiotico, sostenuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è che si tratta di “microorganismi vivi che portano un beneficio alla salute dell’ospite se vengono assunti in quantità adeguate”. Ma non è stato chiarito scientificamente quali siano queste quantità ed è anche difficile valutare gli effetti sul microbiota delle feci, perché non c’è un consenso internazionale per definire un “microbiota in salute” e distinguerlo da uno che non lo è.
Sulle persone con problemi di salute come diabete e obesità fare una valutazione è più semplice e gli studi non mancano: l’efficacia di fronte a disordini metabolici o gastrointestinali si può misurare facendo riferimento all’indice di massa corporea (BMI, body mass index), all’intensità dei sintomi a carico dell’apparato digerente e anche all’insulino-resistenza, la condizione in cui l’insulina non svolge correttamente la funzione di controllo glicemico contribuendo all’insorgenza di varie patologia.
Nonostante una larga fetta di popolazione faccia oggi uso di probiotici, “non esistono prove convincenti che ci siano effetti significativi sulla composizione del microbiota fecale negli adulti in salute”, ha spiegato in una nota Nadja Buus Kristensen, autrice junior della pubblicazione, che ha ripercorso i dati di sette diversi studi randomizzati. Tutti le ricerche avevano messo in evidenza non solo il rapporto tra il consumo di probiotici e la struttura della flora intestinale, ma anche la sua varietà: il numero di specie presenti, la loro distribuzione e via dicendo. Non è emersa alcuna relazione significativa per sei studi su sette: i risultati indicavano che il gruppo di controllo – quello cioè che non aveva assunto alcun probiotico – aveva una flora intestinale del tutto paragonabile a chi invece ne aveva presi per 21-42 giorni sotto forma di biscotti, bevande a base di latte, bustine solubili o capsule.
Cambia qualcosa con l’età? Parrebbe di no, perché i partecipanti agli studi, tutti sani, erano adulti tra i 19 e gli 88 anni d’età. Grazie ad altre revisioni “esistono alcune evidenze che l’utilizzo dei probiotici possa aiutare le persone che, per motivi legati a una patologia, hanno un microbiota poco equilibrato”, spiega Oluf Pedersen dell’Università di Copenhagen, che ha guidato lo studio. “Ma per le persone sane le prove sono davvero poche”. In futuro, continua, serviranno trial clinici più ampi e rigorosi che includano il dosaggio e la composizione dei probiotici utilizzati, integrati con linee guida sull’alimentazione.
Conoscere meglio i microorganismi che vivono nel nostro intestino, in modo da poter stabilire se sono in salute o meno, è un ambito di ricerca che spazia ben oltre lo stabilire il valore dei probiotici. Basta pensare al ruolo che potrebbero avere in futuro i trapianti di feci, dei quali si parla ancora poco (nonostante siano una pratica medica comparsa almeno dieci anni fa) ma che sembrano poter portare benefici non solo per ripristinare il microbiota ma per trattare alcune infezioni come la colite ulcerosa.
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