Le eccellenze della ricerca europea: Germania e Inghilterra
La situazione della ricerca in Italia è veramente buia come si racconta? Per scoprirlo confrontiamo la situazione italiana con quella tedesca e inglese.
APPROFONDIMENTO – La ricerca italiana è in difficoltà, e ciò è ancora più evidente quando la si confronta con quella di altri paesi. Un confronto spesso negativo, ma che può anche fornire spunti su come migliorare la situazione del nostro paese, minata da vari problemi come la scarsità di finanziamenti pubblici, una serie di carenze strutturali e legislative nei processi di valutazione e reclutamento dei ricercatori, e i bassi livelli di investimento privato. Restando nell’ambito della Comunità Europea, i modelli più citati come esempi di eccellenza sono tutti nel nord: paesi scandinavi, Danimarca, Germania e Gran Bretagna. Ci concentreremo ora sugli ultimi due, analizzando la struttura del loro sistema della ricerca ed evidenziandone le differenze rispetto a quello italiano.
La prima, evidente, distinzione riguarda l’entità dei finanziamenti destinati a ricerca e sviluppo. Come abbiamo già visto in uno dei precedenti approfondimenti su questo tema, il nostro Paese storicamente investe poco in questo settore: l’1,25% del PIL nel 2013, a fronte di una media europea del 2,02%. L’obiettivo italiano nell’ambito di Europe 2020 – la strategia di crescita proposta dalla Commissione Europea nel decennio 2010-2020 – è di arrivare all’1,53% ma per raggiungere un simile traguardo, anche assumendo una crescita costante del PIL, sarebbero necessarie risorse ben superiori a quelle attualmente stanziate. Da questo punto di vista la Gran Bretagna non sembra messa meglio: benché più alta di quella italiana, la sua percentuale di investimento in ricerca e sviluppo è pari all’1,69%, sempre al di sotto della media europea e piuttosto lontana dall’obiettivo del 2,5%. Ben diversa la situazione della Germania, che nel 2013 ha investito in ricerca e sviluppo il 2,85% del suo PIL, avvicinandola al suo obiettivo del 3%.
L’attenzione tedesca a questi temi è stata una costante degli ultimi governi e ha consentito al paese di diventare uno dei leader europei insieme a Svezia, Danimarca e Finlandia. Questione di finanziamenti, certo – nel 2012 la Germania ha investito 79,1 miliardi di euro, pari al 29,3% della spesa totale europea in ricerca e sviluppo – ma anche di strategia e organizzazione politica.
Il sistema tedesco si basa sulla coordinazione fra il governo federale (Bundesland) e i 16 stati (Länder) tramite la Joint Science Conference (Gemeinsame Wissenschaftskonferenz, GWK), che sviluppa programmi pluriannuali per istruzione, ricerca e innovazione. A livello nazionale, la responsabilità delle politiche della ricerca ricade soprattutto sul Ministero Federale dell’Educazione e della Ricerca, mentre il Ministero Federale per l’Economia e l’Energia è coinvolto in alcune aree relative a innovazione e tecnologia. Inoltre, diversi altri ministeri hanno i loro centri di ricerca, cui fanno riferimento per valutazioni qualitative o relative a standard di sicurezza.
Gli investimenti pubblici nella ricerca si basano sia su fondi istituzionali, destinati a sostenere le spese essenziali degli istituti e la ricerca di base, sia sul finanziamento di progetti con prospettive di breve-medio termine, tramite una distribuzione competitiva dei fondi. La German Science Foundation (DFG) è cruciale nel sostenere la ricerca di base, poiché distribuisce fondi basati su progetti, complementari quindi a quelli istituzionali. Ciò avviene tramite un sofisticato processo di peer-review, bottom-up e internazionale. Caratteristica unica del sistema tedesco sono le tante istituzioni non universitarie che, oltre a svolgere ricerca di alto livello, distribuiscono fondi su base competitiva: la Max Planck Society, la Fraunhofer Society, la Helmholtz Association of German Research Laboratories e la Leibniz Association. Anche i Länder sono importanti erogatori di fondi per la ricerca e, soprattutto, per l’educazione. La valutazione della ricerca è condotta principalmente dalla Expert Commission on Research and Innovation (EFI), mentre il German Council of Science and Humanities (Wissenschaftsrat) è un organo che svolge attività di consiglio sia per il Bundesland sia per i Länder su temi scientifici e tecnologici.
Il settore privato ha un ruolo chiave nella ricerca e sviluppo del Paese; in Europa, solo la Svezia riesce a fare di meglio. La crescita di questo tipo di investimenti è costante da diversi anni e non dà segni di voler rallentare. Le imprese tedesche si sono rivelate eccellenti non solo per la loro capacità di trasformare i risultati della ricerca in innovazioni economicamente di successo, ma hanno anche saputo dar vita a nuove forme di organizzazione e marketing.
Diversamente da quello tedesco, il sistema della ricerca britannico è molto centralizzato, sebbene negli ultimi anni l’autonomia regionale sia aumentata. Il Department for Business, Innovation and Skills (BIS) è la principale istituzione che si occupa di scienza e innovazione, e al suo interno si trova il Government Office for Science (GO-Science), il cui scopo è fornire una solida consulenza scientifica al Primo Ministro e al Governo e supportare le priorità della ricerca. Il GO-Science collabora anche con il Council for Science and Technology (CST), un organo centrale nella coordinazione delle politiche nazionali riguardanti scienza, istruzione e tecnologia.
I due pilastri del finanziamento della ricerca britannica sono rappresentati dall’Higher Education Funding Council for England (HEFCE) e dai Research Councils. Il primo è un ente all’interno del BIS che gode di grande indipendenza, essendo per statuto libero dal controllo politico diretto, al punto che un rappresentante ministeriale può prendere parte alle riunioni del direttivo ma è escluso dai processi decisionali. Compito dell’HEFCE è la distribuzione di fondi istituzionali a università e college tramite un meccanismo di valutazione mediante peer-review noto come Research Excellence Framework (REF), che ha sostituito il precedente Research Assessment Exercise (RAE) nel 2013. Rispetto al RAE, il REF è più orientato al calcolo dell’impatto tramite l’uso di una batteria di metriche, e stabilisce il livello di finanziamento annuale per ciascuna istituzione fino alla successiva sessione di valutazione.
Il finanziamento competitivo, ossia quello basato su progetti di ricerca, è invece gestito principalmente dai Research Councils sulla base di una peer-review aperta e indipendente che assegna fondi ai singoli ricercatori che ne hanno fatto richiesta. Questa serie di finanziamenti è estremamente varia e flessibile, poiché include sia grant per viaggi sia programmi di ricerca multi-milionari. I Research Councils sono sette, divisi in base alle discipline di cui si occupano, e rappresentano un modello cruciale di finanziamento della ricerca, simili alla National Science Foundation (NSF) americana e allo European Research Council (ERC). Un modello che purtroppo in Italia manca. L’unico sistema che può esserne considerato l’equivalente è quello dei PRIN e FIRB, che sono però distanti anni luce in termini di quantità di risorse erogate, ed efficienza organizzativa e valutativa.
L’attenzione che la Gran Bretagna dedica alla scienza è evidente fin dalle prime righe di Our Plan for Growth: science and innovation, il documento pubblicato nel dicembre 2014 dalla coalizione di conservatori e liberaldemocratici, che riflette la strategia a lungo termine del Paese il cui fine è “to make the UK the best place in the world for science and business”. Il documento infatti inizia così: “Scientific endeavour is inherently worthwhile. It expands the frontier of human understanding. Whether exploring the first moments of the universe, or the deep structure of matter, or the power of genetic code, Britain will continue to take the lead in pursuit of the fundamental scientific challenges of our time”.
In conclusione, le differenze con il nostro paese non sono poche. Differenze nella quantità degli investimenti, nella gestione e valutazione della ricerca e, soprattutto, nell’importanza attribuita a questo settore. Eppure, il confronto con queste due potenze europee evidenzia anche alcuni segnali incoraggianti per la scienza italiana, che nonostante le grandi difficoltà dimostra di avere un notevole potenziale. Le citazioni di articoli italiani sono meno di quello britanniche ma sullo stesso livello di quelle tedesche, e se si mette in relazione la produttività scientifica con gli investimenti in ricerca e sviluppo si vede che l’Italia ha 3,88 pubblicazioni per milione di spesa, più della Germania (1,78) e poco meno della Gran Bretagna (4,14). Differenze che non cambiano molto se si considera solo la spesa pubblica: Italia 9,15, Germania 5,42, Gran Bretagna 11,31. Inoltre, si parla spesso dell’incapacità italiana di attrarre ricercatori dall’estero ma, nonostante i livelli di eccellenza raggiunti, la Germania soffre dello stesso problema. Per non parlare delle difficoltà che accomunano il nostro paese al Regno Unito per quanto riguarda gli investimenti privati, o delle critiche sollevate contro il Research Excellence Framework per il suo essere più interessato all’impatto della ricerca che alla sua capacità di generare nuove idee e stimolare dibattiti.
Tutt’altro che un baratro, insomma.
Abbiamo sicuramente molto da imparare da due paesi come Gran Bretagna e Germania per quanto riguarda la gestione della ricerca, ma abbiamo anche tutte le potenzialità per essere al loro livello.
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