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Sempre meno soldi, sempre poco PIL investito in Ricerca

La ricerca italiana riceve un finanziamento nazionale ben sotto alla media EU e non accede ai fondi europei quanto gli altri Paesi

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L’Italia investe in ricerca e sviluppo soltanto l’1,27% del suo PIL. Crediti immagine: Public Domain

APPROFONDIMENTO – L’Italia è un Paese che, storicamente, investe poco nella ricerca. Lo raccontano i dati storici che avevamo mostrato qualche tempo fa e che riportiamo qui per contestualizzare i dati del Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2016 che l’ANVUR ha presentato lo scorso 24 maggio a Roma.

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All’interno dei paesi dell’OCSE, l’Italia copre il 18° posto in classifica con il suo 1,27% del PIL investito in ricerca e sviluppo, al pari merito con la Spagna e lasciandosi dietro solo Russia, Turchia, Polonia e Grecia: tutti gli altri Paesi economicamente avanzati investono di più. La media dell’UE a 15, per esempio, è del 2,06%, ma anche se allarghiamo lo sguardo all’UE a 28, la media (1,92%) rimane sensibilmente maggiore del valore italiano.

La situazione, però, non è omogenea su tutto il territorio italiano, come mostra questa mappa elaborata con i dati forniti dal Rapporto:

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Clicca sull’immagine per accedere alla versione interattiva della mappa.

“Il solo Piemonte”, si legge nel Rapporto, “presenta quote di spesa in R&S prossime alle medie dei paesi UE e OCSE”. Il resto del paese è, invece, in situazioni molto diversa.

Scarsa, sottolinea il rapporto, è la presenza di finanziatori diversi dal pubblico, almeno in confronto al resto del mondo, nonostante un timido riequilibrio verso standard internazionali, con “una graduale diminuzione della quota della ricerca pubblica e dell’istruzione superiore e un corrispondente lento aumento di quella del settore privato”.

Il ruolo del MIUR

Il Fondo Ordinario per il finanziamento degli enti e istituzioni di ricerca (FOE), “raggiunge un massimo nel 2011, per poi decrescere negli anni successivi”. Per l’anno 2015, la somma è 1666 miliardi di euro compressivi.

La situazione complessiva di FOE, Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN), Fondo per le Agevolazioni della Ricerca (FAR) e dei Fondi per gli Investimenti della Ricerca di Base (FIRB) sono riassunti nel grafico sottostante:

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Le linee mostrano un andamento piatto nell’ultimo decennio, eccezion fatta per il FAR. Non si può certo parlare di investimento nella società della conoscenza. Si starà a vedere se la situazione cambierà con le promesse, continue, di questo governo.

I fondi UE

In questa situazione rimane fondamentale accedere ai finanziamenti europei. Sul fronte di Horizon 2020, appena cominciato, l’Italia, riporta il Rapporto, ha già avviato 5000 progetti, cui se ne devono aggiungere altri 1700 già approvati ma non ancora partiti, su un totale di 180 000 progetti finanziati da Bruxelles. I fondi derivanti da Horizon 2020 per l’Italia nel 2014 (dati Eurostat) sono pari a 456, 4 milioni di euro. Ma, nonostante il buon risultato, si tratta comunque di meno di quanto porti a casa la Spagna (570 milioni), la Danimarca (773 milioni) e poco di più dell’Estonia (415 milioni), solo per citare qualche esempio.

Segnala il Rapporto ANVUR, infatti, che nonostante il tasso di successo sia pari al 10,6%, questi sia “significativamente inferiore rispetto ad altri importanti Paesi europei”. In linea con i Paesi UE, invece, il tasso di partecipazione alle proposte: 12,7%. Il ritorno economico che ne risulta è di “0,66 centesimi (0,71 teorico) per ogni euro investito dall’Italia nel programma quadro”. Ovvero, riusciamo a riportare a casa meno della quota di finanziamento del fondo europeo che il Paese trasferisce in Europa.

Secondo il Rapporto ANVUR, il “divario maggiore si registra nel programma ERC del pilastro Excellent Science, dove la percentuale di progetti basati in Italia (in termini di finanziamenti) si ferma al 5% e il tasso di successo italiano è minore della metà di quello complessivo”.

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I cervelli in arrivo: pochi

“La percentuale di iscritti ai corsi di dottorato provenienti da altri atenei o dall’estero, pur in lieve aumento, rimane insoddisfacente”. C’è poco da aggiungere a questo commento degli autori del Rapporto.

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Questa situazione permane, nonostante rispetto alla precedente VQR, la qualità dei collegi docenti “sia sensibilmente migliorata nel 2014”, ma si è “stabilizzata nel 2015”. Leggasi: non è migliorata.

La ricerca italiana nel panorama internazionale

Chiudiamo questa carrellata, che non può che essere sommaria, con la posizione che la produzione scientifica italiana occupa nel mondo. Nel triennio 2001-2003, il numero di pubblicazioni (dati SciVal – Scopus) italiane era 141 537, pari al 3,3% della quota mondiale, con una crescita annua del 7,4%.

Nel periodo 2004-2010 la situazione è migliorata, con la copertura del 3,5% della produzione mondiale, ma con un tasso annuo di crescita inferiore, il 5,8%. Il quadriennio 2011-2014 vede un calo sensibile del tasso (4,0%), ma l’Italia riesce a mantenere il 3,5% della quota mondiale.

Dato particolarmente positivo è quello relativo alla pubblicazioni su riviste eccellenti (presenti nel top 5% internazionale in base all’impact factor della sede di pubblicazione), che è superiore alle media mondiale. Forse un po’ meno pubblicazioni, quindi, ma di elevata qualità scientifica. Per il resto, calo di cui abbiamo scritto a parte, la performance italiana è in linea con i Paesi UE (“anche se di poco inferiore di Francia, Germani e Regno Unito”) e migliore dei Paesi BRIC e dell’Asia.

Leggi anche: Sempre più precari, sempre meno laureati: numeri dal Rapporto ANVUR 2016

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it