Sempre più precari, sempre meno laureati: numeri dal Rapporto ANVUR 2016
Diminuiscono i docenti di ruolo a causa del blocco del turnover, e il carico di lavoro è coperto da studiosi con contratti più precari e peggio pagati. Un approfondimento sui dati del rapporto ANVUR sullo stato del sistema universitario e della ricerca in Italia
APPROFONDIMENTO – Presentato lo scorso 24 maggio a Roma, il Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca in Italia realizzato dall’ANVUR è una fotografia, dati alla mano, della situazione della formazione universitaria e della ricerca nel nostro Paese. In questo articolo, cercheremo di addentrarci più in profondità nei numeri e i dati su docenti, ricercatori e studenti.
Il personale di ricerca
Come sottolineato in sede di cronaca, uno degli aspetti di maggiore preoccupazione è la diminuzione dei docenti negli atenei del Paese, con una quota di personale precario che si sta allargando. Lo mostrano i numeri, con l’andamento tra il 2000 e il 2015 che mostra nettamente una diminuzione degli ordinari e dei ricercatori, solo in parte compensata da nuovi associati. Si tratta di un calo molto significativo:
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Dal 2010, quando sono stati introdotti i contratti per ricercatori a tempo determinato (Ricercatori TD nel grafico), il loro numero è aumentato, ma non compensa il calo da oltre 25 000 ricercatori di ruolo nel 2008 ai poco più di 17 000 del 2015. In generale, il numero complessivo dei docenti di ruolo, dagli anni Novanta a oggi, scrivono gli autori del Rapporto, “ha seguito un andamento a campana: dapprima è aumentato senza soluzione di continuità, raggiungendo un livello massimo nel 2008; dal 2009 al 2015 è diminuito, a seguito dei provvedimenti di blocco del turnover“, facendo passare così il numero complessivo da 62 753 a 54 977: un calo del 12% in pochi anni.
In questa situazione, sottolinea il Rapporto a pagina 32, “gli altri studiosi con contratti di collaborazione a tempo determinato, spesso retribuiti in maniera non soddisfacente, hanno permesso di sostenere gli accresciuti carichi di lavoro”. Ma, come sottolineava in sede di presentazione Daniele Checchi, consigliere ANVUR e coordinatore del rapporto: “calando il numero di docenti, si alza l’età media del bacino di chi resta: l’età media del personale è aumentata di sette anni in quindici anni”.
Sul fronte del carico di lavoro, il Rapporto ANVUR fornisce un dato di confronto tra le diverse aree scientifiche, con l’indicazione delle ore di insegnamento erogato.
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Gli enti vigilati MIUR
Il Rapporto ANVUR 2016 segnala una controtendenza negli enti di ricerca vigilati direttamente dal Ministero. Qui, “il personale di ruolo addetto alla ricerca è aumentato del 18% dopo essere leggermente diminuito nella prima parte dello scorso decennio”.
https://infogr.am/754e4a7d-017c-48d8-83c9-b38dd932f0bc
Ma, non è tutto rose e fiori, poiché, “un andamento simile a quello osservato per il personale docente di ruolo nelle università si rileva per le qualifiche superiori”: dirigenti di ricerca e dirigenti tecnologi, primi ricercatori e primi tecnologi “sono cresciuti fino al 2007 per poi iniziare una fase di contrazione”.
Ecco, invece l’andamento generale del personale dipendente per tutti gli enti:
https://infogr.am/73463239-e844-4a5a-bcd3-dd7b78b6df96
E la tabella con il dettaglio per ogni singolo ente:
https://infogr.am/de39902c-b745-44db-a377-e2a47913fa15
Sempre meno iscritti…
Il Rapporto ANVUR sottolinea un seconda criticità rispetto all’andamento della formazione universitaria italiana. Nonostante un assestamento negli ultimi due anni, il numero degli iscritti è andato calando. I fattori da indicare come causa sono tre. Innanzitutto, la componente crescente di popolazione straniera in età da immatricolazione: “tale fascia di popolazione”, si legge, “ha una minore probabilità di completare gli studi superiori e una bassa probabilità di iscriversi all’università”. Gli altri due fattori, invece, riguardano il calo demografico generale dell’Italia (ci sono meno giovani oggi rispetto al passato) e un numero minore di studenti che conseguono il titolo di diploma. Dati che si riassumono nel grafico sottostante, in cui l’anno scolastico 2003/2004 viene preso come parametro di riferimento =100:
Ovviamente, il calo degli studenti non è omogeneo sul territorio nazionale, ma conosce andamenti diversi a seconda della macroregione. Ancora una volta il termine di paragone (=100) è l’annata 2003/2004. Come si vede dal grafico, gli atenei del Nord hanno conosciuto una ripresa, mentre Centro e Sud sono stati più colpiti dal calo (con una leggera ripresa del Centro). Indagare e riflettere sulle cause di questa situazione sembra essere un punto decisivo per il futuro degli atenei italiani e del Paese in generale.
… e laureati
L’Italia continua a mantenere una delle posizioni più basse, la penultima davanti alla sola Turchia, nella classifica europea per tasso di laureati nella fascia di età. Con il nostro scarso 24,2 % siamo superati dalla Romania (25,4%) e dalla Macedonia (28,1%), sebbene la Germania non sia molto più avanti (28,4%). Ma rimane sicuramente un confronto impari con Paesi rilevanti dal punto di vista economico, vedi Regno Unito (46%) e Francia (45,8%), ma anche con la Spagna (41,5%) e la Grecia (38,7%). Il numero di iscritti in calo, nonostante negli ultimi anni si sia bloccata l’emorragia, non lascia pensare che scaleremo la classifica nel prossimo futuro.
Il dato migliore sugli iscritti, infatti, potrebbe non essere necessariamente solo una buona notizia. Sottolinea, infatti, il Rapporto 2016 che “tenuto conto del calo delle immatricolazioni che ha riguardato soprattutto studenti che mediamente hanno minor probabilità di concludere gli studi e sono caratterizzati da minori livelli di regolarità, parte del miglioramento potrebbe essere dovuta a un effetto di selezione”. Come a dire che non è cambiato l’ambiente in cui si verifica il fenomeno, ma che fattori esterni potrebbero avere lasciato fuori dal sistema universitario proprio gli studenti potenzialmente più deboli.
https://infogr.am/3d372e6e-5b16-4269-bbd3-c63647bb602d
I dati del grafico qui sopra mostrano l’andamento degli abbandoni e dell’esito del percorso di studi per dieci coorti di studenti a diversi anni di distanza dall’immatricolazione fotografati all’inizio dell’anno accademico 2014-2015.
Un secondo aspetto interessante messo in evidenza dal Rapporto 2016 riguarda le lauree triennali:
Il numero totale dei laureati al netto della componente delle lauree magistrali “approssima il numero di coloro che conseguono per la prima volta un titolo di laurea”. Questo numero ha toccato il massimo nel 2005, con oltre 290 000 laureati. Nel 2014, però, quel numero è già sceso a poco più di 216 000. In generale, quindi, è calato il numero di neolaureati, dopo un aumento nei primi anni di introduzione della formula 3+2.
Come ha ricordato Checchi in sede di presentazione del Rapporto, “siamo uno dei Paesi col tasso di laureati peggiore del mondo, ancora in calando. Con le lauree 3+2 abbiamo generato una sorta di ‘bolla’, quando all’inizio si è ‘premiata l’esperienza’. Esaurito quel momento il numero dei laureati triennali è sceso”. Insomma, la bolla è scoppiata e da qui bisogna che il sistema-Paese ricostruisca se vuole affrontare meno drammaticamente le sfide per le prossime generazioni.
Leggi anche: Presentato il secondo Rapporto ANVUR sullo stato del sistema universitario e della ricerca in Italia
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