AMBIENTE

Le specie invasive rischiano di compromettere le economie più fragili

L'aumento del commercio e dei trasporti in tutto il mondo fa crescere il rischio di invasione di specie aliene anche nei Paesi in via di sviluppo, che hanno meno risorse per combattere gli eventuali danni.

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Le specie aliene, come lo scoiattolo grigio, minacciano la biodiversità locale e le economie mondiali. Crediti immagine: Peter G W Jones, Flickr

AMBIENTE – Le specie aliene come il poligono del Giappone o gli scoiattoli grigi minacciano non solo la salvaguardia di quelle residenti, ma rischiano di compromettere anche l’economia dei Paesi in via di sviluppo. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Università di Exeter. I danni causati da specie non autoctone come la coccinella arlecchino e il visone minacciano la biodiversità globale e le economie mondiali, per una cifra complessiva pari a 1,4 trilioni di dollari l’anno. Le specie invasive, infatti, possono causare malattie, soffocare pozzi e sistemi fluviali, impedire al bestiame di pascolare e distruggere le specie autoctone.

Con riferimento al nostro Paese (e al suo problema con le specie invasive), uno dei provvedimenti più importanti adottati nell’ultimo periodo è senz’altro il Piano Nazionale di sorveglianza e risposta alle arbovirosi trasmesse da zanzare con particolare riferimento a virus Chikungunya, Dengue e virus Zika, varato dal Ministero della Salute lo scorso giugno.

Ma il problema delle specie invasive non riguarda solo i Paesi con un’economia forte, come molti sostengono. I ricercatori hanno infatti dimostrato che queste specie minacciano anche le ultime roccaforti della biodiversità, ubicate tipicamente nei Paesi in via di sviluppo. Un sesto della superficie terrestre globale è altamente vulnerabile alle invasioni, comprese le aree in via di sviluppo e alcune zone dove c’è una forte concentrazione di specie vegetali e ornitologiche. Per creare un dataset completo, i ricercatori hanno analizzato i dati sul commercio internazionale, in particolare di piante e animali, confrontando poi queste informazioni con quelle disponibili sul cambiamento climatico, la fauna selvatica e l’agricoltura.

Lo studio pone l’accento sull’urgenza di intervento a difesa della popolazione e degli ambienti nelle aree più povere del mondo. La rapida globalizzazione, a cui si è accompagnata la crescente importazione di piante e animali, ha già causato molte invasioni biologiche in passato. I ricercatori sostengono che in un prossimo futuro i trasporti aerei saranno responsabili dell’invasione biologica di Asia e Africa, continenti dove il cambiamento climatico e l’intensificazione dell’agricoltura favoriranno l’espansione delle specie non autoctone.

Mentre i Paesi con un sistema economico più forte sono abituati ai fastidi delle specie invasive e stanno adottando adeguate contromisure, quelli più poveri non possiedono potere contrattuale e sono quindi alla totale mercé del commercio internazionale, senza alcuna voce in capitolo sulla regolazione delle importazioni. I ricercatori sottolineano l’importanza di una presa di coscienza da parte dei governi dei paesi industrializzati e delle ONG, perché si muovano a sostegno delle nazioni che non sono in grado di fronteggiare adeguatamente la minaccia delle specie invasive, a causa dei pochi mezzi posseduti.

Early Degan, ricercatrice del gruppo dell’Università di Exeter che ha condotto lo studio, ha chiarito: “La globalizzazione penalizzerà soprattutto i Paesi che hanno meno capacità di fronteggiare le specie invasive. Abbiamo bisogno di maggiore cooperazione internazionale: gli Stati Uniti, l’Australia e le nazioni europee devono condividere le proprie competenze”. Dello stesso avviso è Ines Ibañez, che ha partecipato allo studio: “Nei prossimi anni, gli impatti negativi associati all’introduzione di specie dannose saranno  aggravati da altri fattori di stress globale, come il cambiamento climatico, il degrado del paesaggio e l’inquinamento”.

Leggi anche: Il piano della Nuova Zelanda per eradicare le specie invasive

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Sara Moraca
Dopo una prima laurea in comunicazione e una seconda in biologia, ho frequentato il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. Da oltre dieci anni mi occupo di scrittura: prima come autore per Treccani e De Agostini, ora come giornalista per testate come Wired, National Geographic, Oggi Scienza, La Stampa.