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Una nuova mappa del cielo grazie al satellite Gaia

A tre anni dal lancio del satellite Gaia, i ricercatori dell'ESA rendono disponibili all'intera comunità scientifica i dati raccolti sulla nostra galassia, che ci forniscono la più dettagliata mappa di stelle disponibile.

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Il satellite Gaia ha fornito la prima visione a tutto cielo delle stelle della nostra galassia. Crediti immagine: ESA/Gaia/DPAC

SCOPERTE – Un’enorme mappa stellare, con un dettaglio mai ottenuto prima, di una porzione della Via lattea. Nel corso della conferenza stampa al centro ESAC (European Space Astronomy Center) di Madrid – dopo alcuni problemi con la seguitissima diretta in streaming – il gruppo coordinatore della missione spaziale astrometrica europea, ha reso pubblici i dati raccolti dal satellite Gaia nel corso del primo anno di osservazioni: la mappatura di un miliardo di stelle la cui luminosità e posizione sono state individuate con una precisione unica.

Un risultato eccezionale se si pensa che questo primo set di dati rappresenta solo la primissima parte del lavoro di Gaia, il satellite che al termine del suo lavoro di cinque anni produrrà il più grande e completo catalogo del cielo di sempre.

Grazie a questa prima – ed enorme – pubblicazione di dati, dopo quasi tre anni dal lancio “abbiamo spalancato le porte del cielo e aperto i rubinetti dei dati di Gaia per tutti e nello stesso giorno. Ora sarà bello vedere come la comunità mondiale sfrutterà queste informazioni e che ricerche scientifiche e quali verifiche ne deriveranno” ha commentato Mario Lattanzi, dell’Inaf-Osservatorio Astronomico di Torino e coordinatore italiano della missione.

Prima dell’annuncio dell’ESA non conoscevamo così bene la Via Lattea, quindi?

“Non è che non la conoscevamo”, risponde Lattanzi, “Ne conoscevamo le proprietà generali e quel poco che era riuscito a darci Hipparcos, il predecessore di Gaia (la prima missione dedicata all’astrometria, confermata nel programma scientifico dell’ESA nel 1980 – n.d.a.). Hipparcos si era limitato a ottenere misure sulle stelle distanti fino a 100 parsec, che potremmo tradurre in 300 anni luce. Oggi, dopo soli undici mesi di lavoro, Gaia ha polverizzato quei risultati allargando il nostro orizzonte ai 300 parsec. Faccio un altro esempio per spiegare come da adesso cominceremo a mappare la nostra galassia in modo estremamente preciso: Hipparcos aveva determinato la distanza di 100 000 stelle. Con questa prima pubblicazione di dati, Gaia ce ne ha già fornite due milioni. Alla fine della missione ne avremo un miliardo e mezzo”.

Una missione totalmente europea con una forte componente italiana. Il nostro Paese contribuisce grazie all’operato dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Agenzia Spaziale Italiana e del Data Processing and Analysis Consortium (DPAC) e ha coinvolto tutti i più importanti centri italiani di astrofisica “da Catania, passando per Napoli, Roma, Firenze, Teramo, Bologna, Padova, fino a Torino”, racconta Lattanzi. “Le sfide adesso sono avvincenti, si farà luce sulla famigerata controversia sulla distanza delle Pleiadi e cercheremo di comprendere meglio il moto della nostra galassia. Sono tutte cose che Hipparcos aveva appena toccato e che nel giro di pochi giorni troveranno conferma oppure smentita, e di conseguenza nuovi impulsi per la ricerca. Ora arriverà il bello. Abbiamo appena cominciato”.

L’entusiasmo della comunità scientifica mondiale è alle stelle, letteralmente.
Gli strumenti di Gaia garantiscono una precisione che fino a poco tempo fa era inimmaginabile. “Venti milionesimi di secondo d’arco. A tanto si è arrivato. Immaginiamo di poter osservare nitidamente la punta della Mole Antonelliana di Torino mentre ci troviamo su… Giove. Per giungere a una simile accuratezza abbiamo dovuto modellizzare in relatività generale tutto il tracciamento dei fotoni. In questo ordine di precisione i raggi non si muovono in linea retta, bensì curva. Quindi siamo entrati in un dominio completamente relativistico e, di conseguenza, lo stesso satellite è stato modellizzato in tal senso”.

Un’esperienza frutto di un lavoro congiunto tra tutte i Paesi europei membri dell’ESA che ha prodotto risultati condivisi, in nome della “politica che l’Agenzia Spaziale Europea ha adottato. Tuttavia l’esperienza che ha portato a un risultato così eclatante non viene donata a nessuno e rimane europea. Le competenze e le possibilità tecnologiche rimarranno di nostro dominio esclusivo e ciò garantisce un vantaggio enorme agli scienziati del vecchio continente sotto tutti i punti di vista. La NASA ha riconosciuto la nostra guida in questo settore già da tempo e da ora tutta la comunità mondiale si confronterà con i nostri dati”.

Nel II° Secolo a.C. Ipparco di Nicea, uno dei più grandi astronomi dell’antichità e dal quale deriva il nome del precedente satellite Hipparcus, redasse il primo catalogo stellare, calcolando la posizione di circa 850 stelle con la sola osservazione a occhio nudo.

Molti secoli dopo, Galileo Galilei osservò che quei batuffoli di cotone nel cielo notturno, una volta inquadrati con il telescopio, si dividevano in stelle; molte più di quante si pensava esistessero a quei tempi. La sua scoperta venne condivisa e i colleghi, sparsi per l’Europa, poterono compiere a loro volta osservazioni, trovando nuove stelle e nuovi pianeti.

É successo qualcosa di molto simile.
Dalle 12:30 del 14 settembre 2016 tutto il mondo ha a disposizione questi accuratissimi dati. “Il più grande catalogo astronomico è stato offerto alla comunità”, conclude Lazzanti. “Da questo punto di vista l’Europa si comporta in modo estremamente democratico, senza mai perdere prestigio”.

È solo la prima tappa per il completamento del grande catalogo stellare curato da Gaia lungo i cinque anni di osservazione. Alla fine le immensità dei cieli ci appariranno più chiare.

@livagianluca

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Gianluca Liva
Giornalista scientifico freelance.