Orti didattici: mani tra le piante per imparare (anche a mangiare)
Fare l'orto incoraggia bambini e ragazzi a mangiare più frutta e verdura, a relazionarsi tra loro e con lo spazio, a conoscere l'ambiente che li circonda e studiare matematica, geografia, scienze
SPECIALE SETTEMBRE – Curare l’alimentazione e nutrirsi in modo equilibrato fin da piccoli fa la differenza, per la salute fisica e mentale e nei risultati scolastici. Anche per questo motivo, promuovere uno stile di vita sano è diventato uno dei compiti della scuola moderna, che grazie a progetti dedicati è sì scuola di letteratura, storia e aritmetica, ma anche “di salute e buone abitudini”. Anche in Italia da qualche anno ci si muove in questa direzione, motivati da una letteratura scientifica sempre più folta.
Sono incoraggianti i risultati di iniziative come Get Fruved (da “Get Your Fruits and Vegetables”), un progetto da quasi 5 milioni di dollari tra otto università americane per individuare quali fattori predicono -e influenzano- le abitudini sane negli studenti. Ne è emerso che fare l’orto da piccoli -ma anche cimentarsi con qualche piantina sul balcone da grandicelli- incoraggia a mangiare più frutta e verdura rispetto a chi non ha un “contatto diretto” con le piante. Una scoperta stuzzicante che incoraggia a proseguire sulla strada intrapresa, visto che orti e giardini scolastici sono sempre più diffusi: un esempio tutto italiano di orticoltura didattica è Orti Scolastici dell’agronomo Emilio Bertoncini, con cui abbiamo fatto una chiacchierata.
Come nasce Orti Scolastici e a quale fascia d’età è rivolto?
L’idea è nata dal mio essere agronomo e rappresentante dei genitori nella scuola dell’infanzia di mia figlia, Luna. Le insegnanti mi chiesero la disponibilità a collaborare al “progetto ambientale” della scuola e io proposi di fare un orticello. Così è iniziato un percorso che mi ha portato in molte scuole: alla scuola dell’infanzia di Nave (LU) si sono aggiunte quattro scuole nel comune di Pietrasanta, in cui ho lavorato per due anni grazie a uno sponsor. In seguito si è aggiunta una scuola privata lucchese e, per un breve periodo, altre sei scuole pubbliche. Da un paio di anni il progetto è sbarcato in alcuni nidi d’infanzia della provincia di Pistoia. L’attività si rivolge prevalentemente alla scuola dell’infanzia e primaria, oltre che ai nidi.
Sul tuo sito parli di “orto come laboratorio a cielo aperto, mezzo e non fine dell’educazione”.
È questa l’idea che distingue la mia iniziativa da altre come gli “orti in condotta” di Slow Food, o gli orti scolastici di Campagna Amica, così come da alcune istituzionali in cui il fare l’orto è l’obiettivo principale e l’idea di insegnare a coltivare prevale su altri obiettivi. Da sempre gli orti che ho contribuito a far nascere sono laboratori all’aperto, in cui le piante aiutano la scuola a essere se stessa. Non si impara (solo) a coltivare ma si scopre il mondo dei viventi, si lavora sulla manualità e sull’ergonomia, si trovano stimoli per studiare le scienze, la geografia, la storia e per fare geometria o matematica. Così nascono orti a forma rotonda o triangolare, si fanno errori, si sperimenta la coltivazione di piante inusuali e così via. Lo scorso anno ho fatto nascere un orto a forma di labirinto, ispirandomi a uno dei simboli della città di Lucca. Con i bambini siamo andati a visitare il Duomo e su una delle sue colonne abbiamo ammirato proprio un labirinto. Poi loro hanno elaborato il progetto di un labirinto di piante alimentari e aromatiche, che abbiamo realizzato: hanno inventato un compasso e tracciato cerchi di raggio di tre metri, due e mezzo e così via. Posizionare le piante è stato solo l’ultimo dei gesti compiuti: in qualche modo, il pretesto per fare ben altro.
E come va con gli “abitanti” dell’orto?
I bambini imparano a relazionarsi con alcuni animali non sempre facili da affrontare come ragni e insetti. Il fascino della farfalle viene ridefinito dalla voracità dei loro bruchi, ma la repulsione verso i lombrichi lascia posto a un interesse per queste creature, che si rivelano affascinanti e utili.
Stare intorno all’orto è un’occasione per imparare a cooperare, occupare uno spazio fisico e relazionarsi con altri esseri viventi, scoprendo gli animali che lo popolano e gli organismi che a volte vi nascono, come i funghi. Un’opportunità per capire la relazione tra piante, parassiti e malattie, per arrivare a scoprire in modo del tutto spontaneo idee come lotta guidata e lotta biologica che oggi sono di grande attualità nel mondo agronomico. Accade quando i cavoli vengono attaccati dal bruco della cavolaia, che i bambini prima amano e poi ritengono di dover controllare -spesso con metodi molto fantasiosi- perché distrugge le piante. Si tratta di un approccio spontaneo che manifesta un forte rigore scientifico. E gli orti sono sempre molto più che biologici.
Ciascuna classe ha il suo orto oppure è sempre un orto della scuola?
Entrambi. Nel primo caso ogni classe cura il proprio orto, nel secondo si alternano nel far nascere e vivere un orto più o meno articolato. Quando ci sono le condizioni, l’orto nasce condividendo idee e spunti progettuali che coinvolgono i ragazzi quanto gli insegnanti. I primi portano idee originali, anche se a volte un po’ bizzarre, i secondi individuano i possibili agganci tra orto e attività scolastica ordinaria.
Dall’idea si passa alla realizzazione. Si inizia a dare una forma all’orto e a lavorare la terra, poi si semina, si pianta e così via. La conduzione agronomica diviene un fatto poco più che manutentivo, perché è importante trovare nell’orto stimoli per supportare la didattica. L’immancabile momento dell’assaggio degli ortaggi è un’occasione per parlare di vitamine e buoni stili alimentari, l’origine delle varie piante consente di parlare di storia o geografia, le singole piante possono divenire protagoniste di storie inventate dai bambini.
Vedi cambiare l’approccio dei bambini alla terra, alla natura, al cibo?
I cambiamenti sono notevoli. Imparano a muoversi in spazi aperti ma, come mi piace dire, “chiusi all’interno”. Per la maggior parte della loro vita vivono in spazi delimitati come l’aula, la palestra, il campo da gioco, mentre nell’orto devono imparare a stare in molti attorno a un appezzamento di terra, senza calpestare quello che stanno coltivando.
Modificano il proprio rapporto col cibo. Tantissimi iniziano a mangiare ortaggi dagli assaggi che si fanno nell’orto, ed è da quelli che imparano la stagionalità del cibo e i suoi sapori e profumi. Ricominciano a frequentare gli spazi aperti con naturalezza, riappropriandosi di quelli che spesso vengono dimenticati ma sostengono la loro naturale tendenza a esplorare e porsi domande. Credo che in questo l’orto sia insostituibile, anche per la sua capacità di dissuadere i genitori dall’idea che star fuori sia una fonte di pericoli e disagi. Ancora non so spiegarmi perché, ma uscire per andare nell’orto in pieno inverno è accettato dai genitori, mentre farlo per la semplice curiosità di scoprire il mondo spesso scatena una serie di preoccupazioni e ansie che finiscono per impedire l’esperienza.
Quindi possiamo dire che anche secondo te fare l’orto incoraggia i bambini a mangiare più frutta e verdura a casa.
Sì, sono molti i bambini che quando raccogliamo lattughe o cavoli dicono di non volerli mangiare Non li hanno mai assaggiati ma alla fine ne mangiano quantità considerevoli. Sono molti anche i genitori che mi ringraziano perché i figli hanno iniziato a mangiare le verdure o che, a distanza di anni, ancora dicono “mangiali che sono della scuola” per incoraggiarli.
Il progetto rientra in pieno nell’idea di “imparare facendo”. Cosa imparano a fare, concretamente?
Prima di tutto a fare con le proprie mani. Poi sono posti di fronte alla necessità di tradurre in pratica quelle che rischiano di essere aride nozioni utili a superare un test a crocette. Un conto è saper mettere in sequenza logica operazioni come scavare una buchetta, dare acqua, interrare un seme o piantare una piantina. Tutt’altro conto è eseguire quelle operazioni e vedere la piantina che cresce. Si deve scegliere gli strumenti giusti, manipolarli in modo adeguato. La sequenza logica è la stessa, ma le abilità che si sviluppano sono molte di più e il giudice, severissimo, diventa la pianta, cioè il soggetto più imparziale che possa esistere. E non c’è un voto, ma la possibilità o meno di raccogliere.
Poi si impara il senso della cura e quello del trascorrere del tempo. In un’epoca in cui per tutto sembra esserci una app che dà risultati nel tempo di un click, nell’orto serve sapere e sperimentare, serve tempo. Non c’è coltivazione che non richieda almeno qualche settimana. Molte richiedono mesi. È grazie a questo che si torna alla percezione del tempo vicina ai ritmi della natura. E non è poco.
2008-2016: come è cambiato nel tempo Orti Scolastici?
Oltre ai contesti in cui l’esperienza è arrivata direttamente, una serie di iniziative l’hanno resa un vero e proprio modello di riferimento a livello nazionale. In particolare le giornate formative svolte con l’Agenzia Italiana per la Campagna e l’Agricoltura Responsabile ed Etica, l’adozione del modello formativo da parte della Regione Marche e l’uscita del mio libro, L’orto delle meraviglie. Tutto questo, oltre alla mia attività di divulgazione, ha attirato l’attenzione di un pubblico molto vasto tra insegnanti, scuole, enti e associazioni che mi coinvolgono in varie iniziative. Soprattutto l’associazione “Bambini e natura” presieduta da Monica Guerra, pedagogista dell’Università Bicocca di Milano, che negli ultimi tempi mi ha coinvolto in seminari ed eventi formativi sul tema dell’uso dei materiali per sostenere l’apprendimento.
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