Dall’oriente con furore
Facciamo chiarezza sulla cimice marmorata asiatica, che nel giro di quattro anni si è diffusa a macchia d'olio nel Nordest italiano
APPROFONDIMENTO – Persone aggredite da sciami inferociti, cittadini barricati in casa, comuni che invocano lo stato di calamità naturale. Non si tratta dello scenario apocalittico di un qualche film di fantascienza ma della fobia provocata nel Nordest dall’esplosione demografica di un piccolo insetto giunto dall’estremo oriente. Al pari della ben nota cimice verde (Nezara viridula), la cimice marmorata asiatica (Halyomorpha halys) appartiene a una famiglia di eterotteri che si nutrono per lo più di fluidi e tessuti vegetali grazie al robusto rostro perforatore. Originaria di Cina, Corea, Giappone e Taiwan, la cimice marmorata è storicamente considerata una vera e propria calamità per alberi da frutto e ortaggi. Fin dagli anni ’90 la specie è stata occasionalmente intercettata all’infuori del continente asiatico: nel 1993 viene documentato il primo esemplare in Canada, a cui fanno seguito Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda. In queste ultime due, tuttavia, non è finora riuscita a insediarsi.
“Il suo aspetto è del tutto ordinario, tanto da essere frequentemente confusa con Rhaphigaster nebulosa” spiega Marco Uliana, entomologo del Museo di Storia Naturale di Venezia. “A differenza di questa, H. halys si distingue facilmente per l’assenza della lunga spina ventrale negli adulti e per il bordo seghettato che ne caratterizza gli stadi giovanili”.
La somiglianza con R. nebulosa e con altre specie locali ha spesso ritardato, anche di anni, l’individuazione di questo ospite indesiderato. La prima segnalazione europea risale infatti nel 2007 nei dintorni di Zurigo ma successive revisioni hanno confermato che la specie fosse stata introdotta in Svizzera almeno tre anni prima. La prima segnalazione accertata per il nostro Paese è nell’autunno del 2012 in provincia di Modena.
“La cimice asiatica possiede una straordinaria capacità di dispersione – prosegue Uliana – spostandosi efficacemente sia camminando sia a volo: dati sperimentali indicano che gli adulti, volando, possono percorrere mediamente 2 chilometri al giorno. Tuttavia, è stato osservato che la sua diffusione nelle nuove aree colonizzate viene enormemente facilitata dal trasporto passivo lungo le vie di comunicazione stradali“. Partendo dall’Emilia, dove è stata introdotta accidentalmente, in appena quattro anni la cimice marmorata ha infestato la Toscana e tutte le regioni dell’Italia settentrionale, risparmiando – almeno finora – solamente la Valle d’Aosta. È però nel Nordest, e in particolare nelle province di Treviso, Pordenone e Udine, che in queste settimane è scattato l’allarme tra la popolazione. La formazione di grandi aggregazioni che infestano le abitazioni ha generato una fobia tanto diffusa quanto immotivata dal punto di vista sanitario. “Si tratta di un animale innocuo per la salute dell’uomo, che non punge né trasmette malattie, semplicemente… puzza” – spiega Uliana – Come fanno peraltro anche le altre cimici”.
L’attuale boom demografico è dovuto a un insieme di cause riconducibili alla biologia dell’animale e alla novità che rappresenta per i nostri ecosistemi. Rispetto alla cimice verde, H. halys è infatti due volte più prolifica: ogni femmina depone tra le 100 e le 500 uova. L’attività comincia nel periodo primaverile e ogni anno si hanno due generazioni, in alcuni casi tre. “Con l’avvicinarsi dei primi freddi, inizia la ricerca di luoghi riparati dove svernare. In questo periodo non si riproducono, anzi, gli ovari delle femmine degenerano ma gli adulti rilasciano un feromone di aggregazione che porta ai massicci fenomeni di raduno osservati in questo periodo”.
L’assenza in Italia dei suoi antagonisti naturali è un altro fattore del successo. Vi sono molti predatori generalisti in grado di nutrirsi di questa cimice: ragni, mantidi, cavallette, coccinelle e anche altre cimici. “Manca però l’azione dei parassitoidi, predatori specializzati che incidono maggiormente sulle dinamiche demografiche” nota Uliana. A questo gruppo appartengono alcune specie di mosche e certi minuscoli imenotteri che parassitano le uova. “Essendo filogeneticamente vicine alle cimici nostrane è possibile che alcuni dei nostri parassitoidi possano attaccarle e contribuire a contenerle ma al momento non c’è una vera risposta”.
Le maggiori preoccupazioni provengono dai coltivatori. Uno studio di settore ne ha quantificato l’impatto sulla produzione di mele negli Stati Uniti, calcolando perdite superiori a 37 milioni di dollari nel solo 2010. “La cimice marmorata è una specie generalista, il suo regime alimentare è molto vario: finora sono note oltre 300 specie di piante attaccate. Tuttavia, rispetto alla nostra N. viridula, sembra maggiormente attratta da frutti e semi”. Basta infatti la puntura sulla superficie del frutto per provocare la formazione di deformità e necrosi che azzerano il valore commerciale del prodotto ortofrutticolo.
Per quanto gli insetticidi siano letali per i singoli esemplari, la loro somministrazione risulta in genere poco efficace nel contenimento della specie. “Uno dei fattori in gioco è la forte mobilità: le cimici uccise possono essere velocemente rimpiazzate da altre provenienti dai dintorni, soprattutto in caso di interventi a piccola scala o a macchia di leopardo. Inoltre, va scoraggiato il ricorso a insetticidi ad ampio spettro, applicati senza protocolli specifici e con frequenze elevate: oltre a comportare rischi per la salute colpiscono indiscriminatamente molte specie di insetti, comprese quelle che controllano le popolazioni di altri parassiti”” conclude Uliana. Trattandosi di una specie oramai cosmopolita, sono molti i gruppi di ricerca impegnati nell’individuazione di contromisure efficaci. Nell’attesa, le prime gelate potrebbero contribuire al ridimensionamento del fenomeno.
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