Donne, uomini e intelligenza. Cosa dice la scienza?
Non c'è alcuna prova di differenze biologiche nelle prestazioni cognitive dei cervelli maschili o femminili: ne parliamo con Raffaella Rumiati, neuroscienziata SISSA
ATTUALITÀ – Stando a certi numeri, quello tra donne e scienza sembrerebbe proprio un rapporto tormentato. In minoranza rispetto ai colleghi in certi corsi di studio all’università (in Europa tre ingegneri su quattro sono di sesso maschile secondo l’Eurostat), raramente premiate con riconoscimenti scientifici importanti, come ha ricordato Piergiorgio Oddifreddi su Repubblica, e quasi mai al comando di gruppi di ricerca (solo il 24% delle posizioni apicali in Italia è ricoperto da donne).
Nelle scorse settimane Oddifreddi si era avventurato in una spiegazione per tutto questo, ipotizzando una maggiore predisposizione per le ragazze per certi settori più “concreti”. Le risposte, tra cui quella del gruppo di lavoro per le pari opportunità dell’Unione Matematica Italiana, non si sono fatte aspettare. La scarsa presenza femminile nella ricerca scientifica non è dovuta alla mancanza di doti innate ma è fortemente condizionata da convenzioni sociali dure a morire, ribattono matematici e matematiche. Mentre in rete imperversava il botta e risposta ci siamo chiesti che cosa dicono le neuroscienze in proposito: ci sono differenze tra il cervello maschile e quello femminile?
Intelligenza è maschio? – Raffaella Rumiati, neuroscienziata alla Scuola Internazionale di Studi Superiori di Trieste, fuga subito ogni dubbio: “Non c’è nessuna prova che siano differenze biologiche di prestazioni cognitive tra i cervelli dei due sessi e chi è aggiornato sulle ultime ricerche lo sa molto bene”. Diversi gruppi di ricerca da decenni provano a indagare da un punto di vista scientifico la presenza di differenze, arrivando sempre alla stessa conclusione: sì, c’è un gap, ma le cause non sono biologiche.
Le persone che prendono parte agli studi sono profondamente influenzate dalla società in cui vivono. Così succede che i ricercatori si trovano di fronte a risultati molto diversi a seconda dell’epoca e del luogo geografico in cui lavorano. “Se prendiamo gli ultimi 3 o 4 decenni di studi sulle prestazioni dei due sessi si vede in modo chiaro che le differenze si stanno attenuando”, prosegue Rumiati. Questo significa che se alcune ricerche in passato hanno indicato un distacco tra donne e uomini, oggi vanno verso il pareggio. “In così pochi anni non può essere cambiata la genetica. Quello che sta cambiando sono i test che i ricercatori somministrano, la scuola che le partecipanti allo studio hanno frequentato e la famiglia in cui sono cresciute”, spiega Rumiati.
Le dimensioni non contano – A livello anatomico qualche differenza c’è. Per esempio il cervello maschile è più grande di quello femminile, dell’8% in media per la precisione. Questo, tuttavia, non significa che ci sia un riflesso sulle prestazioni. “La storia delle dimensioni del cervello è una bufala ottocentesca a cui nessuno pensa più – taglia corto Rumiati. È ormai dimostrato scientificamente che avere un cervello più grande non significa essere più intelligenti”.
Eppure certe credenze sono dure a morire, nonostante ci siano diversi studi comportamentali che ammoniscono sulla eccessiva leggerezza con cui li prendiamo per veri o anche solo ci scherziamo sopra. “Affermare che le donne non sono brave in matematica ha un effetto deleterio”, spiega Rumiati. La neuroscienziata elenca una serie di ricerche che hanno dimostrato come le persone riescano a farsi influenzare dai luoghi comuni fino a peggiorare le proprie prestazioni.
Lo stereotipo che si auto-avvera – Durante gli esperimenti, se un gruppo di persone viene informato su una fantomatica ricerca che dimostra l’avversione femminile verso le materie scientifiche, i ricercatori registrano un gap tra i due sessi molto maggiore rispetto al gruppo di controllo che non ha ricevuto questa falsa notizia. Come se lo stigma riuscisse a imporsi fino a diventare reale.
“Allo stesso modo sappiamo che è possibile sfruttare queste credenze anche in positivo. Per esempio la storia che le donne sarebbero più brave a svolgere più compiti in contemporanea rispetto agli uomini spesso diventa vera per sopperire a necessità sociali e di vita quotidiana – spiega Rumiati. E così le donne finiscono per convincersi di essere più multitasking per natura”.
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