Tutti invitati alla cena che cambiò la fisica
Einstein, Bohr, Pauli e Heisenberg: alcuni tra i più importanti fisici teorici della storia hanno partecipato nel 1927 al 5° Congresso Solvay per discutere gli sviluppi della disciplina. Un libro ci racconta il lato più umano di quel memorabile incontro.
CULTURA – Un libro di storia, di scienze e (un po’) di fantasia per raccontare le vicende avvenute tra il 24 e il 28 ottobre 1927 a Bruxelles. È L’incredibile cena dei fisici quantistici (Salani editore, 272 pagine) di Gabriella Greison, che ricostruisce un periodo storico in cui i divi non erano i calciatori o le rockstar, ma gli scienziati.
Ovunque andasse Albert Einstein era accerchiato dai fotografi, in Danimarca Niels Bohr era più influente del re, mentre in Francia Marie Curie viveva periodi di grande fama e altri in cui era bandita dai salotti degli intellettuali. I fisici, all’inizio del Novecento, erano delle celebrità e ogni loro incontro si trasformava in un evento, degno quasi del red carpet.
In questa atmosfera cominciarono, a partire dal 1911, i Congressi Solvay, una serie di conferenze dedicate ai grandi temi della fisica e della chimica. A volerli fu Ernest Solvay, un imprenditore e politico belga, che scelse Bruxelles come sede di questi incontri.
Negli anni Venti l’Europa viveva un periodo di stabilità e i nazionalismi non minacciavano ancora gli equilibri geopolitici del continente. Gli scienziati potevano dunque viaggiare e incontrarsi per scambiare idee sul tema che li assillava di più: la meccanica quantistica. Stava nascendo questa nuova disciplina, che avrebbe permesso di capire i segreti dell’atomo e di usarli per realizzare nuovi strumenti. A discutere di tutto questo erano fisici teorici e sperimentali che avevano avuto (o avrebbero avuto nell’immediato futuro) l’onore di ricevere un premio Nobel: Niels Bohr, mente della cosiddetta interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, Albert Einstein, padre della teoria della relatività, Wolfang Pauli, ideatore del principio di esclusione, Werner Heisenberg, a cui si deve il principio di indeterminazione, e tanti altri ancora.
Tutti si riunirono alla fine dell’ottobre 1927 al 5° Congresso Solvay per presentare le loro nuove scoperte, che avrebbero posto le basi di questa disciplina. Ma soprattutto, tutti andarono a Bruxelles per assistere allo scontro annunciato tra Einstein e Bohr. I due si stimavano, ma non andavano d’accordo praticamente su nulla. Bohr era più preparato, quello era il suo campo di studi, mentre Einstein era più influente e veniva interpellato per qualunque questione concernente la fisica (e non solo). Ma soprattutto, Einstein era in grado di smontare le argomentazioni dell’avversario con esempi ingegnosi a cui era difficile controbattere.
Durante le sedute tematiche del congresso i due non risparmiarono critiche e provocazioni, ribattendo a ogni stoccata dell’avversario come in un incontro di tennis: Bohr “da fondo campo”, elegante e garbato, Einstein “a rete”, sempre energico e instancabile. Il meglio, però, non venne in quei momenti, ma durante la cena di gala alla Taverne Royale, alla presenza della famiglia reale del Belgio.
Sono proprio le vicende di quella cena il fulcro del romanzo di Gabriella Greison. Fatti storici e finzione si mescolano al punto che tutto sembra registrato da una telecamera nascosta: c’è il grande tavolo con i posti assegnati, c’è il menù (di sette portate, una per ciascun capitolo del libro), ci sono i giochi di parole tra Einstein e la regina, ci sono i pettegolezzi sugli assenti e le gaffe della moglie del fisico Hendrik Lorentz, gran cerimoniere della serata.
“La storia del 5° Congresso Solvay è così ricca di avvenimenti e aneddoti che fin dall’inizio ho pensato di ricavarne due prodotti”, racconta l’autrice in un’intervista per OggiScienza. “Oltre al libro, porto in scena uno spettacolo teatrale dal titolo 1927, monologo quantistico“.
Gabriella Greison è stata insegnante di fisica, ma in questo libro non impartisce lezioni di meccanica quantistica, anzi. Si sofferma sui personaggi, i fisici, dei quali svela il profilo umano, i tic nervosi, le fissazioni e le paure nascoste. Emergono l’esuberanza di Pauli, la silenziosa indifferenza di Heisenberg e la voglia di essere il primo della classe di Bohr.
“Personalmente, il fisico a cui mi sono affezionata di più in questa storia è Erwin Schroedinger”, ammette ancora l’autrice, “perché ha modi di fare poco ortodossi e una totale repulsione per le occasioni mondane, ma ha dei guizzi di genialità davvero sorprendenti”. Passato alla storia per il paradosso del gatto quantistico, Schroedinger non partecipò alla cena di gala, ma di lui parlarono di gusto gli altri invitati, come appare evidente dall’estratto del libro disponibile in mp3.
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