Il lato cupo della speranza. Rogue One
Una storia di guerra vissuta dalla parte dei soldati: il lavoro di Gareth Edwards conserva l'epica e l'atmosfera della saga principale, ma se ne discosta per i toni più dark e per le implicazioni etiche più sfumate
STRANIMONDI – Come potete capire da questa recensione che risale allo scorso gennaio, chi scrive ha apprezzato Episodio VII – Il risveglio della Forza, nonostante alcuni innegabili difetti. Era quindi inevitabile che l’uscita di Rogue One non sfuggisse ai radar di Stranimondi, anche se la saga di Star Wars non ha poi così tanto a vedere con la scienza.
Come recita il sottotitolo – miracolosamente lasciato in inglese anche nella versione italiana – il film è “a Star Wars story”, cioè una storia ambientata nell’universo creato da George Lucas ma che non fa parte della saga principale. Uno spin off, insomma, che comunque ha un legame molto stretto con Episodio IV, poiché racconta come i ribelli hanno ottenuto i piani della Morte Nera. Dettaglio che veniva risolto in poche righe del celebre testo a scorrimento con cui quel film (così come tutti quelli successivi) si apriva. E quel testo in Rogue One non c’è, tanto per mettere in chiaro fin dall’inizio che c’è qualcosa di diverso.
A dirigere troviamo Gareth Edwards, già regista di Monsters e Godzilla, cui pare fosse stata concessa una certa libertà di sperimentare. Questa notizia, insieme alla massiccia campagna di marketing messa in campo dalla Disney, aveva contribuito a stimolare parecchio l’hype fino a quando, quest’estate, non si è saputo che alcune scene sarebbero state rigirate. Il che non era un segnale incoraggiante, visto che una simile operazione può essere molto costosa e che quindi non viene intrapresa a cuor leggero dai produttori. (Attenzione agli spoiler per i prossimi tre link) Dopo l’uscita del film, basandosi sulle scene dei trailer che non sono arrivate al cinema e sulle informazioni carpite in rete, c’è chi ha cercato di capire che tipo di film sarebbe stato Rogue One nella prima versione. Finché lo stesso Edwards non ha detto la sua sui cambiamenti.
Ma al di là di queste considerazioni, com’è Rogue One?
Bello, solido, avvincente, abbastanza diverso dal canone classico di Star Wars da renderlo particolare, ma non troppo da renderlo estraneo. Non privo di difetti, ma con il grande pregio di essere fedele alla tradizione pur discostandosene in alcuni elementi cruciali: niente cavalieri Jedi, niente (o quasi) spade laser, niente toni scanzonati. Per la prima volta non c’è neanche John Williams a curare la colonna sonora, affidata invece a Michael Giacchino (che comunque si rifà ai classici temi della serie). E anche il modo in cui il film si rapporta con la Forza è interessante. L’aspetto mistico che permea la saga principale di Star Wars qui si intravede ma non è al centro dell’attenzione. È presente – in maniera sincera, non posticcia – nelle parole e nelle preghiere di diversi personaggi, però la storia è costruita su un problema puramente tecnologico e sui sacrifici necessari per risolverlo. E, da questo punto di vista, Rogue One è forse il film più fantascientifico di Star Wars.
Poi ci sono gli immancabili fan service e le citazioni che solo gli appassionati possono cogliere, ma il legame con la saga principale non si limita a queste strizzatine d’occhio: Edwards è riuscito a conservare l’epica e le atmosfere di Star Wars, che erano andate perse negli Episodi I, II e III, e che secondo alcuni Il risveglio della Forza non è stato in grado di rievocare come si deve.
Ciò in cui invece il film è debole è la caratterizzazione dei personaggi, davvero troppo accennata per reggere il confronto con altri grandi nomi della saga. Molti di loro non hanno alcuna evoluzione e i pochi che cambiano lo fanno in maniera molto repentina e non sempre adeguatamente giustificata. Paradossalmente, quelli che spiccano di più sono quelli che compaiono di meno: Chirrut Imwe, il monaco cieco interpretato da Donnie Yen; il padre di Jin (Mads Mikkelsen), che fa da raccordo a diversi fili narrativi; e ovviamente Darth Vader, perché va be’, è Darth Vader, ed Edwards ce lo mostra in tutta la sua dirompente presenza e potenza.
Presi singolarmente, i vari personaggi di Rogue One possono quindi suscitare qualche perplessità. Ma se si guarda al loro insieme, l’effetto è senz’altro positivo. Sono le facce giuste nel contesto giusto e pazienza se un attore come Forest Whitaker potrà sembrare sprecato: fa quello che deve fare e lo fa egregiamente. Discorso che vale anche per la protagonista. Jyn Erso non ha il carisma di Rey, ma Felicity Jones, bella e vestita di nero, dà al personaggio un fascino più adulto, più indurito e meno sorridente, in linea con i toni del film. Anche l’antagonista, Krennick (Ben Mendelsohn), ha il suo perché, nel suo essere un ambizioso ufficiale stretto fra cattivi più cattivi di lui.
Perché Rogue One è un film più cupo del vostro classico episodio di Star Wars (qualcuno lo ha paragonato a L’Impero colpisce ancora, e non solo per i toni dark ma anche per la sua qualità). È un film che racconta la guerra vissuta dalla parte dei soldati. Un film con meno punti di riferimento morali e con più sfumature etiche. Un film nel quale anche i Ribelli compiono atti discutibili pur di raggiungere i loro obiettivi e i robot non sono tutti bianchi e dorati e buffi. Qui il robot è cromato di nero, sarcastico, tutt’altro che goffo. E uccide.
I veri protagonisti di Rogue One sono le guerre stellari, che siano azioni di guerriglia cittadina o imponenti scontri fra flotte di astronavi. E pazienza se tanto i generali dell’Impero quanto quelli della Ribellione hanno idee strategiche nella maggior parte dei casi discutibili. Gli scontri sono visivamente ed emotivamente belli da vedere, girati con cognizione, coinvolgenti e senza confusione. Ed è proprio con una grandiosa e spettacolare battaglia, sulla terra e nello spazio, che si chiude il film. Appena prima della chicca finale, che sancisce il collegamento di Rogue One con il resto della saga, giustifica pienamente la presenza di Darth Vader al di là del semplice fan service e regala emozioni agli appassionati.
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