RICERCA – Discutere con una persona che difende le posizioni di un partito a prescindere dalla loro rettitudine, convincere un anti – vaccinista a vaccinare suo figlio o parlare con una persona che crede fermamente in una cosa che non potrà verificarsi per dissuaderla del contrario, a volte si rivelano delle conversazioni particolarmente complicate. Il fatto che il nostro interlocutore cambi idea, in seguito all’esposizione delle nostre evidenze, non dipende solo dalle nostre capacità oratorie o dalla inconfutabilità delle prove fornite. Potremmo dire che è anche questione di cervello.
In un articolo pubblicato su Scientific Report, due ricercatori della Southern California University e Sam Harris, il fondatore di Project Reason una fondazione nata per promuovere la conoscenza scientifica e i valori secolari nella società, hanno dimostrato che si attivano meccanismi neurali diversi nella persona più aperta alle opinioni altrui rispetto a quella tutta tesa a difendere le sue posizioni.
Per saggiare le loro ipotesi i tre studiosi hanno coinvolto 40 persone con idee politiche particolarmente radicate. Mentre venivano sottoposte alla risonanza magnetica nucleare funzionale, le persone potevano rileggere affermazioni a cui loro stessi avevano dichiarato di credere fermamente, seguite tuttavia da una serie di evidenze volte a contrastarle. Le stesse persone dovevano poi dare un voto alla credibilità della propria affermazione sia prima che dopo aver letto i pareri contrastanti. La differenza tra i due voti è stata considerata una misura di quanto un certo valore era radicato nella mente delle persone sottoposte all’esperimento.
Le aree monitorate durante la risonanza magnetica sono state quelle che si immaginava potessero essere implicate nel modello di comportamento attribuito a chi si trova al centro di una discussione in cui le parti sono in disaccordo. Secondo tale modello, la persona che vede contrastate le sue idee, tende a provare emozioni negative che la portano a chiudersi sempre più nelle proprie convinzioni, ignorando le nuove informazioni date dall’interlocutore, sottovalutando il valore delle sue affermazioni e cercando un rinforzo sociale alle proprie idee.
I risultati dell’esperimento hanno dimostrato che gli argomenti che meno potevano essere intaccati dalle contro-affermazioni erano quelli sostenuti dalla propria appartenenza politica, perché questo era un argomento forte per le persone prese in esame.
L’area coinvolta nella custodia dei valori più profondamente radicati in noi, che sono quelli che corrispondono alla nostra identità sociale, è il Default Mode Network (DMN), che comprende le aree mediali anteriori e posteriori e i lobi parietali inferiori. Sono queste le aree che si sono attivate nel momento in cui le idee politiche delle persone sottoposte all’esperimento sono state contestate. Questo dimostra da un lato che ci si isola rispetto a quello che l’interlocutore dice e dall’altro che viene messa in atto una ricerca di convinzioni fortemente radicate in sè per controbattere. Secondo gli autori, il DMN potrebbe essere un coordinatore di alto livello tra domini sensoriali, motori e della memoria, capace di orchestrare i processi che concorrono alla formulazione di un pensiero coerente.
Viceversa quando le controevidenze vengono prese in considerazione, la regione che si attiva maggiormente è la corteccia orbito – frontale, notoriamente coinvolta nella sovrascrittura delle informazioni già acquisite dal nostro cervello, oltre alla corteccia prefrontale dorso – laterale legata alla flessibilità cognitiva.
L’amigdala e la corteccia insulare invece sarebbero implicate nelle emozioni negative generate dalla discussione e sono più attive in quei soggetti meno predisposti al cambiamento delle proprie idee. Dunque il sistema che regola le emozioni, che è anche responsabile del mantenimento dell’integrità del nostro organismo, di fatto fa rientrare nel mantenimento di tale equilibrio anche quello mentale. Quelli attivati nel momento della protezione dei propri ideali sono delle strutture cerebrali indipendenti agli stimoli esterni e dirette piuttosto alla parte cognitiva più interiore di un individuo.
Secondo gli autori, una mente inflessibile può dialogare difficilmente nell’era attuale: l’incapacità di cambiare le proprie visioni potrebbe costituire un vero e proprio problema sociale. Qualsiasi dato, prima di essere trasformato in una policy, oggi deve essere ben comunicato e condiviso e la diffusione della conoscenza e la cooperazione tra gli uomini dipendono largamente dalla capacità di portare su un terrreno comune emozioni e opinioni.
Nell’era in cui informazione e politica procedono sollevando le emozioni della gente, è dunque interessante comprendere come queste ultime muovono il nostro pensiero o viceversa lo rendono immobile.
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