Idee per il futuro
Ecco una panoramica di idee di ragazzi e ragazze che cercano con coraggio e creatività di trovare delle soluzioni alle piccole e grandi sfide della nostra società.
Charles Barbier de La Serre, capitano d’artiglieria dell’esercito napoleonico, non poteva certo immaginare che il sistema di comunicazione da lui ideato per il campo di battaglia avrebbe ispirato un idea che ancora oggi permette a milioni di persone di leggere e scrivere.
È il 1821, il capitano è in visita all’Institut National des Jeunes Aveugles di Parigi per raccontare come funzione la sua “scrittura notturna” e tra gli studenti c’è Louis, un brillante studente di soli dodici anni che, ascoltando Barbier, intuisce che un metodo simile potrebbe permettere alle persone non vedenti di leggere. Tre anni dopo, il progetto di quel giovane musicista non vedente è pronto e, nel 1829, viene pubblicato il primo volume al mondo basato sul sistema di scrittura e lettura ideato da Louis, un metodo, considerato rivoluzionario e conosciuto oggi come il Codice Braille.
Le innumerevoli iniziative lanciate attualmente in tutto il mondo, ci raccontano di una nuova generazione sempre più desiderosa di contribuire; ragazzi e ragazze che, esattamente come Louis Braille, cercano con coraggio e creatività di trovare delle soluzioni alle piccole e grandi sfide della nostra società. Eccovi alcune di queste idee nate dalla generazione che vuole di ridisegnare il futuro.
La crisi climatica alla Corte europea dei diritti dell’uomo
Nell’estate del 2017, una serie di incendi spaventosi investono il Portogallo. Gli esperti ritengono che l’aumento della frequenza e dell’intensità degli incendi nel paese sia un effetto della crisi climatica e questo, per sei ragazzi portoghesi tra gli 8 e 21 anni, diventa il motivo per intraprendere un’impresa che qualcuno definirebbe da “Davide contro Golia”.
I ragazzi sono convinti di avere “Il diritto di vivere in un mondo sicuro” e quindi decidono di presentare davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo(CEDU) il primo caso di violazione dei diritti umani in relazione ai cambiamenti climatici. L’azione legale si basa sul presupposto che, l’assenza di un approccio concordato su ciò che ogni stato deve fare per raggiungere l’obiettivo fissato a Parigi di mantenere il riscaldamento globale a 1,5°, ha creato un incertezza che è stata sfruttata dagli stati per evitare di agire in modo efficace.
Nello specifico, vengono chiamati in causa i governi di 33 paesi, Italia compresa, i cui sforzi inadeguati per ridurre le emissioni di gas serra costituiscono per i ragazzi una violazione dei loro diritti umani perché, spiegano, l’inadempienza degli stati viola tre dei diritti fondamentali riconosciuti dalla corte: il diritto alla vita, il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare e il diritto a non essere discriminati. Le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sono legalmente vincolanti quindi, una vittoria permetterebbe di imporre ai governi in Europa di agire per fermare la crisi climatica. La causa è ancora in corso, la Corte ha respinto le istanze presentate dai governi che chiedevano di bloccare lo stato prioritario e di rendere la richiesta dei ragazzi inammissibile. I governi sono stati invitati a “Rispondere prontamente” e alla causa è stato assegnato uno status prioritario in ragione della “Importanza e l’urgenza delle questioni sollevate”, nel frattempo, altri gruppi di ragazzi, ispirati da questa vicenda, hanno fatto causa ai loro governi e, si registrano già le prime vittorie.
Una nuova sentinella per le infezioni
Dasia Taylor sogna di diventare un medico come il suo idolo Meredith Grey, la protagonista di “Grey’s Anatomy”, ma, quando la sua professoressa di chimica annuncia di cercare un progetto per un concorso scientifico, questa ragazza originaria dell’Iowa, decide di provare qualcosa di nuovo e risolvere un problema che le sta particolarmente a cuore.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (WHO), nei paesi a basso e medio reddito, circa l’11% delle ferite chirurgiche sviluppa un’infezione rispetto agli Stati Uniti dove la percentuale scende tra il 2 e il 4%, i dati mostrano inoltre, che le infezione del sito chirurgico (SSI), sono associate a un aumento marcato della morbilità e mortalità dei pazienti. Esistono molte soluzioni tecnologiche per prevenire questa problematica ma, sono attualmente poco realizzabili nei paesi in via di sviluppo, ecco perché Dasia decide di puntare a un’idea semplice e di facile utilizzo.
Partendo da questi presupposti e dalla sua passione per le tecniche di sutura, la ragazza progetta un filo di sutura che permetta di segnalare l’infezione utilizzando le variazioni di pH. Normalmente, il pH della pelle è compreso tra 4,7 e 5,75, quindi leggermente acido ma, quando c’è un infezione, il pH tende ad aumentare diventando basico. Dasia inizia a fare dei test e, dopo diversi tentativi, sceglie la barbabietola come indicatore. Lavora per 18 mesi, utilizzando tre dozzine di barbabietole e, alla fine, realizza un filo di sutura imbevuto di succo altamente concentrato di barbabietola che cambia di colore passando dal rosso al viola scuro in presenza di un infezione. Il progetto ha ricevuto diversi premi ed è stato tra i 40 finalisti del Regeneron Science Talent Search, il concorso di scienze e matematica dedicato alle scuole superiori più antico e prestigioso degli Stati Uniti ma la strada per l’utilizzo di questa filo è ancora lunga.
Secondo Alessandro Conte, dirigente medico e coordinatore del team di “Dottore, ma è vero che…?”, “L’idea ha un certo potenziale ma ovviamente dal punto di vista scientifico esistono dei passaggi che non posso essere trascurati” aggiungendo “Per capire la reale fattibilità di questo progetto bisognerà verificare la biocompatibilità dei materiali, valutare le possibili reazioni allergiche e assicurarsi che la sostanza organica utilizzata non diventi un catalizzatore per la proliferazione dei batteri”. Insomma, questa invenzione necessita ancora di molto lavoro ma Dasia non sembra intenzionata a demordere perché, come eloquentemente spiega una felpa indossata in una delle sue presentazioni, “Ci sono quelli che cambieranno la storia e quelli che saranno tristi per non averci provato”.
Un oceano senza plastica
Esistano alcune “isole” assenti sulle cartine geografiche, la più imponente, con un’estensione stimata tra 700.000 km² e i 10 milioni di km² – pari alla superficie del Canada- si trova nell’oceano pacifico ed è chiamata “Great Pacific Garbage Patch”, la più grande isola di plastica al mondo. Queste isole o vortici di plastica, nate dall’accumulo di rifiuti specialmente materiali plastici, sono considerate sempre di più una minaccia sia per l’ambiente sia per la salute dell’uomo. I rifiuti non biodegradabili come la plastica infatti sono sottoposti ad un fenomeno di fotodegradazione che porta alla produzione di agenti inquinanti e l’ingestione di particelle di plastica da parte degli animali planctofagi determina l’introduzione di plastica nella catena alimentare. Una questione estremamente complessa diventa quasi per caso il tema del progetto scolastico di un giovane di 16 anni originario di Delft, Boyan Slat.
Boyan vuole capire perché è considerato impossibile ripulire l’oceano e studiando il problema ha un intuizione che presenta in un talk al TEDx a Delft nel 2012, secondo il ragazzo, si può ripulire l’oceano attraverso un sistema passivo che intrappola i rifiuti utilizzando le correnti oceaniche. Viene fondata The Ocean Cleanup e realizzato la prima versione di un macchinario che, grazie ad una rete ancorata ad tubo galleggiante a forma di U, promette di ripulire gli oceani ma i test non danno gli esiti sperati. Dopo diverse modifiche, la tecnologia ideata da Boyan Slat inizia a funzionare nel 2019. Attualmente, la fondazione punta a realizzare l’ambizioso piano di ripulire gli oceani dal 90% plastica entro il 2040 iniziando a lavorare anche sui fiumi per evitare il versamento dei rifiuti plastici negli oceani. Come sottolineano molti esperti della comunità scientifica, trovare una soluzione definitiva non è semplice infatti, non tutta la plastica raccolta può essere riciclata e molta di essa non galleggia ma si deposita sul fondo dell’oceano. Per questo motivo, la drastica riduzione dell’uso della plastica resta la condizione fondamentale per qualsiasi azione realmente efficace.
La digitalizzazione delle donne in Africa
Il report pubblicato nel 2020 dalla World Wide Web Foundation mostra che, a livello globale, gli uomini hanno il 21% di probabilità in più di connettersi online rispetto alle donne, questa percentuale, sale, nei paesi in via di sviluppo, fino al 52%. Secondo l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), nei paesi a basso e medio reddito, 1,7 miliardi di donne non possiedono telefoni cellulari, e in paesi come la Nigeria, questo divario di genere nella proprietà dei dispositivi mobili è di circa il 45%. La difficoltà di accesso alla tecnologia, l’istruzione e i pregiudizi socio-culturali radicati, stanno creando un divario digitale di genere (Digital Gender Divide) sempre più marcato ma, proprio dalla Nigeria, è in atto un’iniziativa per promuovere l’istruzione digitale delle donne.
Nel 2018, a soli 23 anni Salissou Hassane Latifa vince il premio Miss Geek Africa con un app che permette alle vittime di incidenti di contattare i servizi di emergenza e ricevere, mentre attendono gli aiuti, consigli di primo soccorso dal personale medico. Questa brillante studentessa della Higher School of Telecommunication di Niamey conosce sulla sua pelle gli stereotipi esistenti in Nigeria ma, allo stesso tempo, è convinta che la tecnologia possa avere un impatto positivo sulla società ecco perché fonda InnovELLE, una startup per permettere a donne e uomini di tutte le età di istruirsi su tutto ciò che riguarda la tecnologia e la digitalizzazione. In un intervista per UNICEF Niger, spiega “Dove altri vedevano ostacoli, ho visto una possibilità per fare la differenza, un’opportunità per usare le mie capacità per aiutare le persone, fornire un diverso punto di vista, rompere gli schemi e quando penso al futuro del mio paese, tutto quello che vedo è la possibilità, tutto quello che vedo è la speranza, perché siamo una generazione di giovani con il potere di cambiare il mondo “. Oggi, Latifa è un modello di riferimento per le ragazze che vogliono lavorare ITC, lavora come consulente del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) e continua con la sua startup a lottare contro la disparità digitale di genere.
Leggi anche: La Terra raddoppia lo squilibrio energetico in soli 14 anni
Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Immagine: CNAO