Horus: il dispositivo portatile che racconta la realtà ai non vedenti
L'unità tascabile del dispositivo include un processore su cui girano algoritmi di computer vision e deep learning che catturano, analizzano e descrivono le immagini provenienti dalle telecamere.
SENZA BARRIERE – Si chiamano Saverio Murgia e Luca Nardelli, hanno 25 anni, sono originari di Savona e promettono di cambiare in meglio la vita delle persone non vedenti. Sì, perché i due giovanissimi imprenditori liguri, fondatori della start-up Eyra e annoverati dalla rivista americana Forbes tra i 30 migliori Social Entreprenuries al mondo, sono i creatori di Horus. Si tratta di un dispositivo indossabile hi-tech in grado di riconoscere i volti umani, gli oggetti e i testi impressi su qualsiasi tipo di supporto e di identificarli, descriverli o leggerli alle persone colpite da deficit visivi. Il dispositivo nasce tre anni fa: Saverio Murgia e Luca Nardelli, che a quei tempi studiano computer vision applicata alla robotica, percorrono la strada di casa, di ritorno dall’università.
“Per un caso fortuito, io e Luca abbiamo incrociato un signore non vedente. Cercava di raggiungere con difficoltà la fermata dell’autobus di Genova Brignole, muovendosi lungo gli edifici e chiedendo aiuto ai passanti per attraversare il passaggio pedonale che, in assenza di apposita segnaletica, risulta irraggiungibile per chi non può vedere”, racconta Murgia. La circostanza induce i due giovani a riflettere sulle difficoltà affrontate ogni giorno dalle persone non vedenti (600 milioni al mondo) e sulla necessità di abbattere le barriere per consentire a tutti di godere di una vita piena. Da qui nasce Horus, un dispositivo indossabile molto simile a un lettore mp3 di ultima generazione, costituito da due cuffie sportive e da un’unità tascabile.
Le cuffie contengono un trasduttore elettro-meccanico che trasforma il segnale sonoro in vibrazioni, propagate tramite conduzione ossea. Sulla cuffia sinistra sono collocate due telecamere capaci di osservare l’ambiente e di inviare le immagini al processore. Alle estremità delle cuffie sono installati i pulsanti che consentono all’utente di interagire con le diverse funzionalità di Horus e di regolarne il volume. A questa componente indossabile, Horus associa l’unità di elaborazione tascabile, poco più grande di uno smartphone. Questa include un processore NVIDIA Tegra K1, su cui girano algoritmi di computer vision e deep learning che catturano, analizzano e descrivono le immagini provenienti dalle telecamere. Ai lati dell’unità tascabile sono collocati dei pulsanti che, in maniera simile a quelli posti sulle cuffie, consentono all’utente di interagire con il dispositivo e di regolarne il volume.
Questo piccolo gioiello tecnologico racchiude innumerevoli e indispensabili funzioni. Horus, infatti, grazie all’optical character recognition è in grado di riconoscere e comprendere testi stampati, riprodotti su qualsiasi superficie. In che modo? Le telecamere individuano le parole e le inviano al processore, che le trasforma in un contenuto audio facilmente fruibile dall’utente. Allo stesso modo, il dispositivo può riconoscere i volti e avvisare l’utente quando si incontra una persona nota. Per fare ciò, tuttavia, Horus ha bisogno di essere istruito. Chi utilizza il dispositivo dovrà scattare una foto alla persona che ha di fronte e ripetere ad alta voce il nome dell’individuo immortalato per permettere alla macchina di memorizzare l’immagine. Stesso procedimento per gli oggetti, sebbene molti siano già inseriti nella memoria di Horus. Ideato e realizzato interamente dalla start-up Eyra, sia per la parte legata al software sia per l’ergonomia, Horus sarà disponibile in commercio tra pochi mesi.
Leggi anche: Aipoly: l’app che regala una “visione artificiale” ai non vedenti
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.