The OA, un racconto visionario oltre la fantascienza
I giudizi sono stati molto divisi: qualcuno ne ha apprezzato la capacità di sperimentare, mentre altri l'hanno trovata eccessivamente misteriosa. Ma di che cosa parla The OA?
STRANIMONDI – Di The OA avevamo parlato come una delle possibili serie da seguire durante le vacanze di Natale. Serie enigmatica e visionaria, tra fantascienza e fantasy, scritta e interpretata da Brit Marling e diretta dal co-ideatore Zal Batmanglij. Nella rassegna natalizia avevamo accennato a due direzioni che la critica ha percorso per giudicare la serie: una era entusiasta (The Economist apprezzava la capacità di osare e di sperimentare della serie), l’altra invece la stroncava (Variety puntava il dito sull’eccessivo mistero su cui si regge la storia). Ma, alla fine, com’è questo The OA?
Un film di otto ore
Per iniziare va detto che The OA è una serie fino a un certo punto. Anzi, forse non lo è proprio. Così come certi album musicali in cui la suddivisione fra le canzoni è totalmente un artificio, si pensi a The Dark Side of The Moon dei Pink Floyd dove le canzoni sfumano una nell’altra, The OA ha “episodi” in dissolvenza fra loro. The OA è nei fatti un film di otto ore diviso in otto capitoli, per altro non tutti della stessa lunghezza. La prima puntata per esempio ha una durata di oltre 70 minuti, mentre il sesto episodio è lungo poco più di 30. Ogni capitolo è introdotto soltanto da una schermata con il titolo e con il numero del capitolo; nessuna sigla iniziale, nessun jingle finale. I titoli di testa arrivano quasi alla fine della prima puntata: capita, in certi film, che un prologo di qualche minuto introduca i titoli di testa. Dal momento che The OA è un film di otto ore questo prologo dura quasi un’ora e i titoli di testa appaiono nel bel mezzo della prima puntata. Questi sono tutti chiari segnali che The OA si propone come qualcosa di diverso, di dirompente, quasi fosse una sfida alle strutture codificate della serialità televisiva.
La narrazione
The OA ha un ritmo lento, molto lento. Si prende tutto il tempo per introdurre i personaggi e la vicenda ma non certo per dare agli spettatori tutte le coordinate per orientarsi. Anzi, gli autori sembrano divertirsi nel disseminare misteri che rimarranno irrisolti. Ma laddove in serie quali Lost i misteri rimanevano tali più per incapacità di scioglierli a livello di sceneggiatura che per reale scelta stilistica, The OA si regge molto e in modo esplicito sul mistero, a volte sul non senso e addirittura, in certi passaggi, fino a raggiungere il grottesco. Alcuni momenti, soprattutto all’inizio del film-serie, The OA risulta come qualcosa di davvero straniante, molto oltre l’inconsueto: ci si aspetta da un momento all’altro che qualcuno si fermi e ci avvisi che tutto è uno scherzo. Ma così non è. Tutto, dal mistero al grottesco, è perfettamente giustificato nell’impalcatura narrativa: chi guarda scopre pian piano di Praire (Brit Marling) e della sua incredibile storia. Scomparsa da sette anni, Prairie torna nella sua città ma sin dai primi istanti si capisce che la ragazza ha un conto in sospeso con quanto le è accaduto. Non parla con i genitori e con gli assistenti sociali, trincerandosi dietro la grande sofferenza che ha subito. In realtà la serie ruota tutta intorno al racconto di Prairie, racconto che però la ragazza confida a 5 persone sconosciute e perché perfettamente funzionale a risolvere, o almeno tentare di risolvere, ciò che la ragazza ha lasciato in sospeso prima del suo ritorno.
Per chi non ha visto la serie quanto detto finora può bastare: siamo di fronte a una serie lenta, d’autore, dove il mistero regna e che va vista con una buona dose di pazienza e di attenzione: se reggerete sino alla fine, i vostri sforzi saranno premiati. Negli ultimi episodi staccarsi dallo schermo sarà difficile, anche se la serie non snaturerà il suo stile lento e riflessivo. Per poter spendere due parole sui temi fantastici e fantascientifici della serie è inevitabile fornire qualche informazione sulla trama che inevitabilmente risultano spoiler. Quindi non andate oltre se non volete informazioni sulla trama e, in caso lo guardiate, vogliate rispettare i tempi del racconto di Prairie e scoprire insieme ai personaggi ciò che è accaduto. Chi ha ragione tra Economist e Variety? Difficile dirlo: le due critiche sottolineano bene pregi e difetti. The OA sperimenta tantissimo, non solo a livello di trama – lo vediamo nel prossimo paragrafo – quanto sulle scelte estetiche e nella messa in discussione della serie come prodotto televisivo; di certo bisogna però scendere a patti con tanti misteri e una narrazione lenta che richiede molta attenzione. A voi la scelta.
La scienza della metafisica (SPOILER)
In sintesi: di cosa parla davvero The OA? Prairie racconta di essere stata rapita da uno scienziato, Hunter Aloysius Percy detto Hap, impegnato in esperimenti visionari sull’aldilà e sulla pre-morte. Dopo un incontro nella metropolitana di New York, Hap scopre che Prairie ha vissuto un’esperienza pre-morte da bambina. Hap allora la rapisce portandola in un luogo segreto dove già tiene segregate altre tre persone accomunate dal fatto di aver vissuto esperienze pre-morte. Prairie e compagni sono le cavie impotenti e in trappola dello scienziato Hap. Il fine che guida la ricerca di Hap è visionario e rivoluzionario per l’umanità: Hap infatti crede che, tramite i poteri acquisiti dall’esperienza pre-morte, sia possibile guarire malattie e addirittura resuscitare i morti. Hap è uno scienziato rigoroso, fonda le sue credenze su prove empiriche e su dati registrati scrupolosamente: il tutto, però, con esperimenti e prove disumane a cui sottopone le sue cavie. Nel suo tentativo di rispondere alla domanda “C’è vita dopo la morte?”, Hap dà forma scientifica all’interrogativo metafisico per eccellenza, rende scienza misticismo e filosofia ma lo fa in modo del tutto crudo, convinto che il suo nobilissimo fine non debba rispondere ad alcun vincolo etico, sebbene a più riprese lo scienziato mostri segni di crisi e rimorsi. Dubbi che però non basteranno a fermare il suo inumano esperimento. Non manca neppure il confronto tra Hap e il collega-rivale che lavora sugli stessi temi e con il quale c’è in atto una corsa contro il tempo a raggiungere per primi una soluzione al dilemma.
In questo The OA si rivela più “metascienza” che fantascienza; il personaggio di Hap e i suoi esperimenti possono essere visti come una vera e propria riflessione sulla scienza intesa come metodo più che una proposta fantascientifica nei contenuti (nella fattispecie, la risposta al post-mortem). Il tutto racchiuso in un’estetica che oscilla tra il fantasy e l’horror.
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