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Verso una biopsia liquida per il tumore alla prostata

Una nuova tecnica tutta italiana studiata per individuare il tumore con un'analisi del sangue, analizzandone le vescicole.

Per la prima volta un team italiano ha sviluppato un approccio nuovo per la diagnosi del tumore alla prostata e al polmone, analizzando delle piccole vescicole. Crediti immagine: NIH, Flickr

RICERCA – Quando si parla di biopsia liquida si fa riferimento alla possibilità di fornire una diagnosi di cancro senza bisogno di eseguire una biopsia tradizionale, cioè un prelievo di tessuto dal paziente, ma utilizzando solo un prelievo di sangue, su cui compiere precise analisi molecolari per individuare la presenza del cancro o le sue mutazioni. L’idea alla base di questo approccio è quella di riuscire un giorno a utilizzare le analisi del sangue come strumento diagnostico per tutti i tipi di tumore, ed eventualmente anche nei programmi di screening della popolazione per quelli più frequenti.

La biopsia liquida non è certo una novità e gli studi finora condotti hanno coinvolto molti tipi di cancro, diverse tecniche di analisi, e hanno riguardato varie componenti presenti nel sangue, dalle cellule tumorali circolanti (CTC), ai micro-RNA, agli esosomi, al DNA circolante (cfDNA). Per la prima volta però un team italiano ha sviluppato nei laboratori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) un approccio nuovo per la diagnosi del tumore alla prostata e al polmone non a piccole cellule analizzando delle piccole vescicole che contengono alcune informazioni sul tumore (gli esosomi) e in particolare alcune proteine che permettono di capire di che tumore si tratta.

I risultati riguardo al cancro alla prostata sono stati appena pubblicati su Oncogene, gli altri sono in fase di elaborazione.

“Il punto centrale di questa nuova tecnica è la possibilità di individuare dei marcatori per il tumore che speriamo ci permetteranno in futuro di sviluppare dei procedimenti a basso costo per proporre questo approccio come strumento di screening per il tumore alla prostata” racconta Ruggero De Maria dell’Università Cattolica di Roma, uno dei ricercatori che ha coordinato lo studio. “Attualmente nell’analisi noi distruggiamo queste micro-vescicole presenti nel sangue, le mettiamo su un vetrino e le analizziamo con gli anticorpi, un procedimento lungo e dispendioso.”

Sappiamo infatti che il PSA (Antigene Prostatico Specifico), un enzima che viene prodotto dalla prostata, non è esente da problematiche, primo fra tutti il fatto che non sempre un PSA alto è un indicatore della presenza di un tumore. “Inoltre – prosegue De Maria – molti tumori alla prostata hanno un livello di aggressività molto basso, cioè tendono a non progredire. Per questa ragione si tende a proporre la cosiddetta ‘sorveglianza attiva‘, dove cioè il paziente tiene semplicemente sotto controllo il cancro attraverso analisi regolari, che però di fatto sono biopsie, ecografie transrettali e risonanze magnetiche multiparametriche, quindi esami invasivi e complessi. Una sorveglianza attiva basata su una semplice analisi del sangue sarebbe molto utile per esempio in questi casi”.

Questa tecnica sperimentata nei laboratori dell’ISS non è ancora disponibile per i pazienti, dato che si tratta di un approccio appena studiato e, come è noto, affinché una scoperta, una tecnica o una molecola entrino a pieno titolo nella prassi medica sono necessarie varie fasi di sperimentazione. “Al momento questo studio rappresenta una nuova possibilità di ricerca che andrà analizzata meglio e tarata su un numero maggiore di pazienti – prosegue De Maria – anzitutto attraverso uno studio prospettico, che sia in grado di valutare l’efficienza predittiva su un campione ampio di persone. Nello studio che abbiamo appena pubblicato abbiamo preso dei soggetti che sapevamo essere malati e abbiamo studiato i possibili marcatori per il tumore, mentre ora vorremmo fare il passo successivo e cioè prendere un campione eterogeneo di pazienti e valutare la capacità della nostra tecnica di diagnosticare il tumore nei soggetti malati prima di eseguire una biopsia invasiva. Per questo – conclude De Maria – abbiamo applicato per un progetto europeo, che se andrà bene ci permetterà di andare avanti con le nostre ricerche”.

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.