SALUTE

Studiata una proteina che frena la metastasi del tumore mammario

La ricerca tutta italiana apre nuove strade per lo studio di nuovi marcatori e per capire il coinvolgimento della proteina nella resistenza alle terapie

Si registrano circa 50 mila nuovi casi l’anno di tumore mammario. Tra questi, circa il 20% riguardano la sottoclasse dell’oncogene HER2. Crediti immagine: maf04, Flickr

SCOPERTE – Il tumore mammario è oggi il tumore più diffuso ma anche uno dei meglio curabili per la donna, anche se il problema della formazione delle metastasi permane fra i maggiori responsabili degli esiti più infausti. Capire come bloccare la formazione di metastasi è dunque fondamentale e una buona notizia arriva proprio da uno studio italiano, pubblicato su Nature Communications: i ricercatori del Centro di Biotecnologie Molecolari e Scienze della Salute dell’Università di Torino, grazie a un finanziamento AIRC, hanno individuato una proteina, la p140Cap, che sarebbe in grado di limitare la crescita del tumore mammario. Si tratta di ricerca di base, ma che potrebbe in futuro portare allo sviluppo di nuovi trattamenti per le donne che non hanno questa proteina e che quindi sono più predisposte a sviluppare metastasi. La presenza di questa proteina – individuata dallo stesso team tutto italiano qualche anno fa – è infatti stata associata a una maggiore sopravvivenza complessiva delle pazienti e a una minore incidenza di metastasi.

Anzitutto un po’ di chiarezza. Esistono quattro classi di tumore mammario, una delle quali è la sottoclasse dell’oncogene HER2, un gene che danneggia l’organismo promuovendo la proliferazione delle cellule malate. La “forza” di HER2 sta nel fatto che a differenza di altri geni, la sua presenza è enormemente amplificata: al posto delle normali 2 coppie di geni nei cromosomi delle cellule, nel caso di HER2 vi sono 50-100 coppie per cromosoma, e pertanto nei casi di tumore mammario l’effetto di HER2 risulta oltremodo ingigantito.
Su circa 50 mila nuovi casi l’anno di tumore mammario, questa sottoclasse rappresenta circa il 20% del totale, e di questo 20% una donna su due esprime la proteina p140Cap, mentre la restante metà delle donne non la esprime, il che le rende più predisposte alla possibile proliferazione. È quindi una scoperta che interessa il 10% delle donne che ogni anno ricevono una diagnosi di tumore mammario.

“Finora si tratta di uno studio su ampie casistiche di pazienti di tumore mammario – spiega Paola Defilippi, una delle ricercatrici coinvolte – dove abbiamo individuato la correlazione fra la presenza della proteina, la maggiore o minore sopravvivenza delle donne e la presenza di metastasi. A questi studi abbiamo abbinato esperimenti in modelli cellulari, che ci permettono oggi di asserire che sussiste non solo una correlazione, ma una relazione di causa effetto, fra esprimere o meno questa proteina e il progredire della malattia.
Secondo quello che emerge dai modelli utilizzati, la proteina p140Cap si lega ad alcune molecole delle cellule che l’oncogene HER2 utilizza per promuovere la migrazione delle cellule tumorali, rendendole inattive. Se la proteina non è presente l’oncogene è più facilitato nello spingere le cellule malate a proliferare.

“Si tratta ora da un lato di pensare a sviluppare un saggio di laboratorio, da utilizzare nella pratica clinica, come un marcatore biologico per individuare le pazienti che hanno o meno questa proteina. Inoltre si può iniziare a studiare come agire eventualmente per “simulare” artificialmente la sua presenza, anche se si tratta di procedimenti molto complessi e che richiederanno del tempo. Sarà inoltre molto importante studiare la rilevanza della proteina nella resistenza alla terapia, per capire se vi sono correlazioni anche in questo senso.”

@CristinaDaRold

Leggi anche: Tumore alla mammella, individuato marcatore per la resistenza alle terapie

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.