Scienza e progresso nello steampunk esotico di Hope & Glory
Una nuova ambientazione per il gioco di ruolo Savage Worlds, che propone una rivisitazione dell'estetica steampunk e della storia coloniale dell'Ottocento.
STRANIMONDI – Cappelli a cilindro, occhiali da aviatore, corsetti, cinghie e ingranaggi dorati. Questi gli elementi ricorrenti dell’estetica steampunk, quel filone fantascientifico caratterizzato da una tecnologia anacronistica basata su vapore ed elettricità, spesso ambientato in un Ottocento alternativo. Un genere nato alla fine degli anni Ottanta, che riprendeva il nome del cyberpunk ma discostandosene, essendo più interessato alla meccanica e ad ambientazioni retrò e ucroniche che all’elettronica e alle distopie futuristiche urbane. Un genere che a sua volta ha pescato a piene mani dai romanzi scientifici ottocenteschi di autori come Jules Verne e H. G. Wells, e che ha ispirato e contaminato diversi autori moderni; influenze steampunk si ritrovano nell’eccellente La lega degli straordinari gentiluomini di Alan Moore così come nel film Sherlock Holmes di Guy Ritchie, nell’Hugo Cabret di Martin Scorsese così come ne Il castello errante di Howl di Hayao Miyazaki.
E trasuda steampunk anche Hope & Glory, la nuova ambientazione per il gioco di ruolo Savage Worlds, un prodotto pensato per il mercato inglese ma concepito e sviluppato interamente in Italia. Creatore e coordinatore del progetto è Davide Mana, paleontologo e scrittore, e a lui ci siamo rivolti per farci raccontare com’è nata questa ambientazione e in cosa si differenzia dai classici del genere.
“Per primo è nato il concetto centrale, l’idea di un’India steampunk in cui gli ideali migliori dell’epoca vittoriana sono stati messi al lavoro, e non i peggiori”, spiega Mana. “Lavorare sulle novelle mi ha poi aiutato a definire i luoghi, le culture, i personaggi, fornendo elementi che sono stati riversati nel manuale del gioco. Manuale che, di fatto, rappresenta tutta quella parte di background delle storie che è stato necessario elaborare per scriverle, ma non era essenziale inserire nelle storie stesse”.
Il 21 ottobre del 1852, la Catastrofe colpisce la Terra, devastando in particolare l’emisfero settentrionale dapprima con terremoti e maremoti, e poi con la Pioggia Nera, che genera un’impenetrabile coltre di nubi di cenere, dando così inizio all’Inverno dei Trent’Anni. Un secolo dopo, l’umanità si è ripresa ma le potenze del Vecchio Mondo sono crollate. Nuovi stati sono rifioriti in quelle che un tempo erano colonie in Africa e Sudamerica, fra i resti dell’arcipelago giapponese, nelle steppe russe, nelle pianure cinesi e in India, dove i rifugiati inglesi si sono mischiati con la popolazione locale fondando il Raj anglo-indiano, erede del caduto Impero Britannico.
Insomma, non il solito steampunk.
“La principale differenza, quella che ha fatto da motore al progetto fin da subito, consiste nel concentrarsi su società non occidentali, sul fare dei vittoriani, e degli occidentali in genere, una minoranza che deve adattarsi a condizioni molto diverse da quelle storiche”, spiega Mana. “Si tratta di una scelta che disinnesca l’impatto del colonialismo, che obbliga la civiltà dell’ottocento a scelte diverse, e che porta allo sviluppo di un mondo esotico, diverso ma ancora riconoscibile, in cui sarà divertente ambientare storie”.
L’idea alla base di questa rivisitazione è in parte estetico – “Volevo meno corsetti e occhialoni, e più saree e kimono” – ma in parte anche ideologico. “Mi è capitato di sentir descrivere lo steampunk come genere reazionario e neocolonialista. Non credo che lo sia, e Hope & Glory, per le sue regole di campo, non può esserlo”, continua Mana. “Progresso e diversità sono i due valori che animano l’ambientazione”.
In questo contesto, scienza e tecnologia non possono che ricoprire un ruolo di primo piano.
“Hope & Glory è fantascienza scientifica, ma con le sue basi nella scienza superata, per questo ho cercato il più possibile di applicare i principi scientifici dell’ottocento, recuperando idee ormai archiviate come l’etere luminifero o l’ipotesi che esistano luoghi in cui gli animali estinti potrebbero essere ancora vivi”, racconta Mana. “Ma oltre a questo c’è stato anche un lavoro di estrapolazione. Mi sono divertito a chiedermi come sarebbe cambiata la scienza moderna eliminando personaggi come Hertz o Darwin. Cosa può succedere alla embrionale fisica nucleare nell’incontrare forme di pensiero come quelle indù? Verranno scoperti gli stessi principi, certo, ma come cambierà la rete delle interconnessioni? In quali diverse direzioni evolverà la scienza, e di conseguenza la tecnologia, e quindi la società?”
Hope & Glory fa proprio il gusto per la speculazione scientifica della fantascienza. Il risultato è, per esempio, un ventesimo secolo senza televisione, in cui la radio ha scarsa rilevanza, ma il telefono viene usato per trasmettere notizie e musica nelle case private ma non per comunicare. Un mondo in cui esiste il fax, e in cui lo strumento essenziale del programmatore è la pinza per forare a mano schede jacquard. “In Hope & Glory Il tao della fisica non è solo un libro di divulgazione, ma un approccio alla ricerca”, precisa Mana.
Un mondo dettagliato non solo dal punto di vista politico e tecnologico. Spostare il baricentro culturale del mondo dalla nebbiosa Londra vittoriana a luoghi più esotici necessitava anche una revisione dell’estetica steampunk. “La comunità steampunk è molto diversificata e sta creando cose meravigliose, in tutti gli ambiti, dalla narrativa alla moda. Volevo cercare di catturare una parte di questa vivacità, e renderla giocabile”, spiega Mana. In questo compito è stato aiutato dalla collaborazione con Angelo Montanini, docente di fashion design allo IED di Milano e illustratore fantasy, noto per i suoi lavori sull’opera di Tolkien. “Sono stato fortunatissimo a poter collaborare con Angelo, che ha creato dei costumi straordinari per le diverse nazioni del mondo di Hope & Glory, dando solidità a quelle che erano solo delle idee”.
Nella sua rivisitazione dello steampunk, Mana non si è concentrato solo sulla componente ‘steam’ del genere. “La componente punk è data, io spero, dal capovolgimento di molte aspettative e dalle spruzzate di satira, con un po’ di cattiveria. Vittoria in India sposa un Rajah della dinastia Mughal e diventa la sovrana di una minoranza etnica senza patria che molti indiani vorrebbero ‘aiutare a casa loro’. In Russia assistiamo ai primi passi di un processo che creerà (o rischia di creare) i Morlock e gli Eloi che Wells ci mostrerà nell’opera La macchina del tempo. La Cina è una teocrazia cristiana – storicamente corretta – con elementi quasi orwelliani. C’è un’idea di ribellione di fondo, in Hope & Glory, ma si tratta di ribellione alla storia e all’idea che le cose potessero andare solo come sappiamo che sono andate”.
Un concetto che ricorda l’ipotesi del paleontologo Stephen Jay Gould: se potessimo riavvolgere il nastro dell’evoluzione e riprodurlo nuovamente, otterremmo un mondo ben diverso da quello in cui viviamo oggi. Un parallelo di certo noto a Mana, visto il suo background scientifico. “Come scienziato, ho la fortuna di avere un metodo per la ricerca e una preparazione nel presentare in maniera chiara i risultati del mio lavoro, e questo mi ha aiutato molto nello sviluppo di Hope & Glory. Inoltre, essendo geologo e paleontologo, avevo a disposizione tutta una serie di possibilità da mettere in gioco per rendere il mondo più eccitante. Più divertente per ambientarci storie, più sorprendente e inaspettato per i giocatori. Soprattutto andando a ripescare quelle teorie che oggi sono risibili, ma che nella seconda metà dell’Ottocento erano considerate seriamente: valli perdute, anelli mancanti, grandi sconvolgimenti tellurici. Da queste idee, applicando una logica ferrea, si possono ricavare sviluppi molto promettenti. Perché tutto è più divertente se ci mettiamo dei dinosauri, o al limite una tigre dai denti a sciabola”.
Hope & Glory si presenta quindi come un’esplorazione delle contingenze storiche e scientifiche, intrisa di un gusto tipicamente pulp per l’avventura, fra guerrieri africani e pallide contesse russe, esemplari di megafauna quaternaria e intraprendenti principi-mercanti anglo-indiani, avventurieri e spie, atmosfere esotiche e intrighi politici. Un’esplorazione che ha richiesto molta ricerca letteraria, scientifica, linguistica e iconografica. “È stata un’esperienza divertente, per quanto faticosa. Ho letto romanzi e racconti, ho seguito un paio di corsi universitari online, ho imparato un po’ di Hindi (subito dimenticato). Ho avuto modo di collaborare con artisti straordinari che hanno creato il look di Hope & Glory e stimolato nuove invenzioni e idee, ho chiacchierato e giocato con giocatori e appassionati. E poi, la possibilità di scoprire certi fatti, certi pezzetti della storia della scienza e della tecnologia – per esempio il passare un pomeriggio con un programmatore per cercare di capire come funzionasse davvero una macchina di Babbage in termini informatici moderni – è stato davvero qualcosa di impagabile”, conclude Mana.
Un assaggio introduttivo di Hope & Glory lo si trova in Glass Houses, un’avvincente novella di spionaggio ambientata in un piccolo stato principesco situato fra i picchi dell’Himalaya, prima di una serie di sei che approfondiscono l’ambientazione e contengono un’appendice che introduce informazioni di gioco. Un altro assaggio, esclusivamente in italiano, è stato pubblicato nell’Almanacco dei Mondi Selvaggi 2017, presentato a Play, Festival del gioco di Modena. La seconda novella uscirà a breve mentre il debutto del manuale di gioco è previsto per quest’estate alla GenCon di Indianapolis.
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