SALUTE

Consumo eccessivo di carne rossa e salute: nuovi dati su BMJ

Il consumo di quantità massicce di carne rosse è risultato associato a un aumento della mortalità per tutte le cause, mentre mangiare in alternativa più carne bianca mostrerebbe una diminuzione della mortalità.

Un consumo di grandi quantità di carni rosse sembra essere associato a un aumento di mortalità. Crediti immagine: Public Domain

SALUTE – Ancora una volta le evidenze suggeriscono che consumare carne non fa male di per sé, ma che un consumo eccessivo di certo non fa bene. Insomma, come è emerso anche un anno e mezzo fa a proposito della questione della cancerogenicità della carne rossa, tutto dipende dalla quantità e dalla frequenza con cui ne facciamo uso.
In questi giorni la rivista BMJ ha pubblicato uno studio che conferma ancora una volta che il consumo massiccio di carne rossa e lavorata – cioè fondamentalmente gli insaccati – è associato con un aumento della mortalità. Un risultato che ha fatto parlare Fiona Godlee, editor in chief di BMJ di “another inconvenient truth”, un’altra verità scomoda.

Si tratta di una ricerca che ha riguardato oltre 536 000 americani, osservati per anni, per i quali è stata studiata la mortalità complessiva, cioè per tutte le cause, unitamente a 9 cause che sono state esaminate anche singolarmente. I risultati hanno mostrato in particolare che l’aumento del rischio di mortalità associato sia alle carni rosse trasformate che a quelle non trasformate è in parte riconducibile alla presenza dei nitrati e dei nitriti nella carne lavorata, e in misura indipendente alla forte presenza di ferro eme. In particolare, dosi massicce di nitrati sono state associate al 50,1% della mortalità complessiva, al 37,0% delle morti per tumore, al 72,0% di quelle per la malattie cardiovascolare e al 55,8% di quelle dovute a malattie respiratorie.

Per tutte le cause della morte esaminate, ad eccezione del morbo di Alzheimer, si è evidenziato un incremento dei tassi di mortalità, ma le associazioni più evidenti si sono riscontrate per le malattie epatiche croniche, più fortemente associate al consumo intenso di carne rossa non trasformata.

Ma c’è un altro aspetto molto interessante: i tassi di mortalità sono risultati più bassi nei gruppi di persone nella cui dieta era maggiore la proporzione di pesce e carni bianche. Ridurre la percentuale di carne rossa all’interno del proprio consumo di carne, in favore di quella bianca, ha mostrato effetti positivi in termini di mortalità sia complessiva sia per alcune cause specifiche, in particolare riguardo alle morti dovute a malattie croniche del fegato.

Il National Institute of Health (NIH) ha seguito più di mezzo milione di persone di un’età compresa fra i 50 e i 71 anni residenti in sei stati e due aree metropolitane negli Stati Uniti, seguendoli per quasi 16 anni. Il numero totale dei decessi dovuti a cause diverse ha superato le 128 000 unità, un numero paragonabile a quello combinato di morti risultate da altre recenti metanalisi. Ai partecipanti è stato chiesto di fornire informazioni sulle loro abitudini alimentari negli ultimi 12 mesi, sia come cibi sia come bevande, anche in relazione alle dimensioni delle porzioni. Gli alimenti inclusi sotto l’egida “carne rossa” erano carni rosse non trasformate (carni bovine, suine, hamburger, fegato, bistecca e carni contenute in alimenti composti come lasagne e stufati) e carni rosse trasformate (pancetta affumicata e salsiccia). La carne bianca comprendeva polli, tacchino e pesce, tonno in scatola e carni bianche trasformate, come tagli a freddo di pollame, salsicce e hotdog con basso contenuto di grassi.

Certo, il punto non è solo la carne in sé, ma il fatto che essa è il risultato di un processo articolato, sia nella sua produzione che nel suo effettivo consumo. Nel suo commento all’articolo John Potter precisa per esempio che gli effetti negativi dipendono anche da altri fattori che entrano in gioco nel consumo di carne rossa, tra cui gli agenti cancerogeni causati dalla cottura, i contaminanti nei mangimi con cui vengono alimentati gli animali e la scarsa assunzione di alimenti vegetali.
“Non dobbiamo preoccuparci della nostra salute solo in termini di mortalità”, chiosa infine Godlee nel suo editoriale. “Un consumo massiccio di carne rossa è associato da una parte a uno sviluppo sessuale più accelerato e dall’altro a una maggiore resistenza agli antibiotici, per non parlare di un aumentato rischio di zoonosi, cioè di malattie che possono passare da animali a esseri umani. Senza dimenticare poi il pianeta – conclude Godlee – dal momento che la produzione di bestiame è una delle principali cause dei cambiamenti climatici.”

@CristinaDaRold

Leggi anche: Meat Paradox, o di come dissociamo la mucca dalla bistecca

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.