Parker Solar Probe a caccia di tempeste e venti solari: la missione Nasa
La missione Solar Probe è stata dedicata a Eugene Parker, pioniere della fisica solare, e partirà il 31 luglio 2018 per arrivare dove nessuna sonda è mai arrivata: nell'atmosfera del Sole
CRONACA – Arrivare dove nessuna missione umana è mai arrivata per svelare i segreti del caldissimo Sole. A farlo sarà Parker Solar Probe, la sonda della Nasa che inizierà la sua missione nel 2018. Gli scienziati si preparano così a dare la caccia ai venti solari, che causano violente tempeste magnetiche sulla Terra, e a indagare nel profondo le caratteristiche della corona solare, la regione dell’atmosfera del Sole che è ben più calda della temperatura superficiale e interna della stella. Obiettivi importanti che richiedono particolare attenzione nella costruzione della sonda: servirà infatti uno scudo particolare per poter arrivare ad appena 6 milioni di chilometri dalla superficie della stella e riuscire a raccogliere dati e scattare foto con la strumentazione esposta a temperature di oltre 1377 gradi Celsius e a potentissime radiazioni.
L’annuncio della missione è stato dato il 31 maggio dalla Nasa dalle aule dell’università di Chicago, dove si è formato lo scienziato a cui il nome della sonda è dedicato. Si tratta di Eugene Parker, astrofisico americano che per primo negli anni Cinquanta ha teorizzato l’esistenza dei venti solari e li ha descritti. Parker infatti aveva già intuito nel 1958 che dalla stella si verifica una costante fuga di materia e di magnetismo, sotto forma appunto di vento solare che spazza non solo il nostro pianeta, ma anche il resto del sistema solare. Un lavoro, quello di Parker, che ha posto le basi per la comprensione di come le stelle interagiscono con i mondi dei loro sistemi planetari e che gli è valso il grandissimo onore di vedere una missione a lui dedicata anche se ancora in vita. Lo scienziato ha commentato:
“La missione arriverà in una regione di spazio che non è mai stata esplorata prima d’ora. E’ davvero eccitante poter finalmente averne un’osservazione diretta. Potremmo avere alcune misure dettagliate di cosa accade nei venti solari e sono sicuro che i risultati saranno sorprendenti, come lo sono sempre”.
Negli ultimi 60 anni l’eliofisica ha avuto la possibilità di osservare direttamente come dalla nostra stella si originino questi potentissimo venti composti da plasma, campi magnetici e particelle elettricamente cariche e le osservazioni hanno permesso di scoprire che la corona è caratterizzata da un calore anomalo che rimane senza spiegazione al momento. Per poter studiare questo fenomeno la sonda dovrà avvicinarsi proprio a questa regione più calda e per questo motivo gli strumenti che raccoglieranno dati sul plasma, sui campi magnetici solari e scatteranno foto della corona saranno protetti da uno scudo in carbonio spesso oltre 11 centimetri.
La missione sarà lanciata tra il 31 luglio e il 20 agosto 2018 e il raggiungimento del punto di massimo avvicinamento è previsto per il 14 giugno 2025. Un viaggio di 7 anni in cui la sonda viaggerà ad una velocità di circa 700mila chilometri orari, coprendo la distanza tra Roma e Firenze in poco più di un secondo. Per potersi avvicinare a una distanza di appena 6.2 milioni di chilometri dalla superficie della stella si sfrutterà la spinta gravitazionale di Venere: la sonda girerà sette volte intorno al pianeta per poi entrare nell’orbita finale di avvicinamento.
Il Sole è l’unica stella che possiamo studiare da vicino nel nostro universo e ci offre un’occasione unica per comprendere il funzionamento di un astro e come fenomeni, tra cui i venti solari, interagiscono con i pianeti come la Terra e con gli altri mondi del sistema solare. Inoltre capire come la luce e il calore si sviluppano e arrivano fino a noi potrà aiutare a comprendere come è nata la vita sul nostro pianeta.
I venti solari d’altronde sono flussi di gas ionizzati che colpiscono il nostro pianeta con velocità di oltre 500 chilometri al secondo e causano delle perturbazioni che influenzano il campo magnetico terrestre e che danneggiano i satelliti già in orbita, ma che possono arrivare anche fino al suolo, causando blackout elettrici e delle telecomunicazioni.
Delle vere e proprie perturbazioni spaziali che possono causare danni alla nostra tecnologia e per questo comprenderne la natura diventa importante non solo per prevederle e per poter correre ai ripari sul pianeta, ma anche per progettare le future missioni spaziali e capire come mettere in sicurezza le sonde e gli astronauti che si preparano ai viaggi verso Marte o altre regioni inesplorate del sistema solare.
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