Pesare una nana bianca: così ti confermo la relatività
“Albert Einstein sarebbe orgoglioso del nostro risultato”. Lo dicono gli scienziati che grazie alle microlenti gravitazionali previste dal fisico e premio Nobel sono riusciti a pesare la stella Stein 2051 B
SCOPERTE – “Non c’è speranza di avere un’osservazione diretta del fenomeno delle microlenti gravitazionali per stelle lontane da noi”, diceva uno sconsolato Albert Einstein nel 1936 parlando della sua teoria della relatività. Quasi 100 anni dopo, però, un gruppo di scienziati della Embry-Riddle Aeronautical University guidati da Kailash C. Sahu e dall’astrofisico Terry Oswalt ha dimostrato che l’impresa è possibile, portando così una nuova conferma alla celebre teoria e aprendo nuove strade nella comprensione della nostra galassia e della sua evoluzione.
Immaginate di voler osservare la luce emessa da una stella molto molto lontana che viaggia verso la Terra: quando nel loro tragitto verso di noi i fotoni passano vicino a un oggetto con una grande massa, la gravità li deflette e agisce come una lente di ingrandimento. Questo è il fenomeno delle lenti gravitazionali, ma ne esiste un tipo particolare detto microlenti gravitazionali, che al passaggio della luce emessa dalla stella molto lontana crea un anello di luce perfettamente circolare, detto anello di Einstein.
Concentrandosi sulle 8 osservazioni di una stella nana bianca raccolte dal telescopio spaziale Hubble tra ottobre 2013 e ottobre 2015, gli scienziati del gruppo di Sahu sono stati in grado di osservare proprio l’anello di Einstein prodotto dal passaggio della luce vicino alla stella. I due oggetti però erano solo leggermente allineati e i ricercatori, che hanno pubblicato i risultati del loro studio sulla rivista Science, hanno osservato un anello asimmetrico, come spiega Oswalt: “L’anello e la sua luminosità erano davvero piccoli da misurare, ma l’asimmetria causata dalla stella distante lo ha fatto apparire decentrato dalla sua vera posizione. Questa parte dell’ipotesi di Einstein è chiamata lente astrometrica e il gruppo di Sahu è stato il primo ad osservarlo in un’altra stella che non fosse il Sole”.
Non è infatti la prima volta che l’anello di Einstein viene osservato direttamente. Era accaduto solo una volta nel 1919, quando un’eclissi ha permesso di osservare quello prodotto dalla curvature della luce emessa dal Sole. A 100 anni di distanza arriva così la nuova conferma, con lo studio condotto da Sahu che proprio sfruttando questa teoria ha messo a punto un nuovo modo di misurare la massa di quegli oggetti celesti che non può essere determinata con altri mezzi, come nel caso della “misteriosa” stella Stein 2051 B.
Misteriosa perché questa nana bianca sembrava presentare una massa e una composizione ben diversa dalle altre presenti nella nostra galassia, la Via Lattea. Se infatti le nane bianche si formano dai resti di stelle collassate all’esaurimento del ciclo di combustione dell’idrogeno, e hanno masse e composizioni simili, le osservazioni di Stein 2051 B dipingevano per la stella una natura piuttosto esotica.
Concentrandosi invece sulla deflessione apparente della luce emessa dalla stella lontana, che è direttamente correlata alla massa e alla gravità della nana bianca, oltre che all’allineamento più o meno esatto tra i due corpi celesti, gli scienziati sono riusciti per la prima volta a usare quella che può essere definita la “bilancia” di Einstein e a determinarne la massa, scoprendo che è pari al 68% della massa del Sole. Un valore che rientra in quelli osservati per le altre stelle di questo tipo.
La misurazione così non solo conferma la teoria della relatività, ma ha fornito anche una prova della relazione tra massa e raggio delle nane bianche, relazione che è prevista dalla teoria del fisico Subrahmanyan Chandrasekha e che gli è valsa il premio Nobel nel 1983. Un risultato raggiunto con un metodo del tutto innovativo e che ora potrà essere applicato anche in futuro per studiare altre stelle: tenendo conto infatti che il 97% degli astri presenti nella Via Lattea, tra cui anche il Sole, sono o diventeranno nane bianche, la scoperta apre scenari inaspettati nella comprensione della storia e dell’evoluzione della nostra galassia e di altre galassie con caratteristiche simili.
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