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L’antico antenato delle misteriose cecilie

Oggi conosciamo poco più di 200 specie di cecilie e i loro fossili sono estremamente rari. Due ritrovamenti fanno luce sulla loro storia evolutiva.

Il piccolo C. jenkinsi spunta dal suo umido rifugio. Illustrazione di Jorge Gonzalez

SCOPERTE – La graziosa creaturina che vedete nell’immagine, mentre spunta dall’acqua, si chiama Chinlestegophis jenkinsi. Abitava il pianeta Terra nel Triassico ed è probabilmente l’anello mancante tra anfibi come rane, salamandre, rospi e le cecilie, creature carnivore, vermiformi e cilindriche che somigliano a lombrichi ma sono, anch’esse, anfibi a tutti gli effetti. E piuttosto misteriosi.

Negli anni Novanta del secolo scorso, in Colorado, Brian Small ha trovato due fossili di questa specie, che ha appena descritto in uno studio e collocato nella sua legittima posizione sul percorso evolutivo degli anfibi. Si tratta del più antico parente delle cecilie, scrivono i ricercatori, e questi fossili costringeranno i paleontologi a “rivalutare le date dell’origine dei moderni gruppi di anfibi e il modo in cui si sono evoluti”, dice Adam Huttenlocker della Keck School of Medicine, co-autore del lavoro, in un comunicato.

Nel Triassico, più di 200 milioni di anni fa, il gruppo di anfibi con la maggior diversità erano gli stereospondili, animali acquatici riconoscibili anche grazie alla forma della testa (che ricorda la tavoletta di un wc) e che finora si pensava non avessero parenti in vita. Con i nuovi fossili la storia degli stereospondili e delle cecilie trova un punto d’incontro, in un antenato comune dal quale gli anfibi moderni si sarebbero evoluti 315 milioni di anni fa. Il che “espande la storia di rane, rospi e salamandre di almeno 15 milioni di anni”, commentano gli autori dello studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.

Oggi conosciamo poco più di 200 specie di cecilie, tutte diffuse tra il Sudamerica, il Sudest asiatico e l’Africa, in ambienti umidi e tropicali. I fossili di cecilie antecedenti il Cenozoico sono estremamente rari proprio per via della loro atipicità: non solo somigliano ai lombrichi ma spesso hanno piccole dimensioni, di pochi centimetri. Finora ne erano stati trovati solamente due esemplari risalenti al Mesozoico, animali con arti ridotti e molto simili, nell’aspetto, alle cecilie moderne.

Con le sue quattro zampe, piccoli occhi e una testa a forma di proiettile,  C. jenkinsi è tutta un’altra storia: mostrava ancora gran parte delle caratteristiche morfologiche comuni a molti anfibi triassici ed era lungo dai 15 ai 30 centimetri, anche se una stima precisa è difficile da fare. Dai due fossili rinvenuti da Small, sfruttando la tomografia in 3D, è stato possibile studiare il suo cranio, la colonna vertebrale, le costole, le spalle e le zampe.

Secondo Jason Pardo, co-autore dello studio e ricercatore alla University of Calgary, in Canada, ogni nuova scoperta che facciamo sull’evoluzione degli anfibi ci aiuta a conoscere meglio anche noi stessi in quanto vertebrati. È possibile, prosegue lo scienziato, che le capacità di guarigione dei tessuti di salamandre e rane siano presenti nel DNA umano, da qualche parte, “spente”.

Pochi decenni fa, prosegue, Pardo, “non eravamo sicuri nemmeno dell’origine degli uccelli. Ora stiamo risolvendo alcuni degli ultimi misteri riguardo agli animali dai quali si sono evoluti i principali gruppi di vertebrati. Cecilie, tartarughe e alcuni pesci restano gli unici grandi gruppi di vertebrati sui quali i paleontologi hanno ancora domande in sospeso”.

In Colorado, dove sono stati trovati i fossili, al tempo di C. jenkinsi le condizioni climatiche erano piuttosto estreme. Un caldo torrido, spiega Huttenlocker, temperature proibitive per grosse creature come i parenti dei tirannosauri o dei triceratopi. Nei loro nascondigli sotterranei queste antiche cecilie se ne stavano al fresco, in un ambiente umido e confortevole, che permetteva loro di stare al riparo da un clima inospitale.

Il prossimo passo? Riprendere a scavare proprio in Colorado, alla ricerca di altri animali con scheletri più completi dei due trovati finora. “Ne troveremo uno”, conclude Huttenlocker.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".