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Acidificazione degli oceani e rischio biodiversità: la relazione tra specie va tutelata

Livelli elevati di anidride carbonica portano alla riduzione di ricchezza nella biodiversità marina a causa della prevalenza di una singola specie dominante.

I ricercatori australiani hanno esaminato il comportamento e l’adattamento della fauna ittica in presenza di naturali, elevati e prolungati livelli di anidride carbonica nell’isola di Whakaari. Crediti immagine: James Shook, Wikimedia Commons

SPECIALE AGOSTO – “Quanti pesci ci sono nel mare?” si domandavano i due pescatori di Livorno nella famosa filastrocca di Gianni Rodari. Anche uno studio dell’University of Adelaide apparso su Current Biology ha cercato di rispondere al difficile quesito. Siamo ben lontani da Livorno, a Whakaari, nome in lingua maori per White Island, e i ricercatori hanno impiegato il doppio del tempo rispetto ai due pescatori di Rodari. Questa piccola isola a nord della Nuova Zelanda è nota a noi occidentali fin dal 1769, anno della sua scoperta da parte del grande esploratore inglese James Cook, che per primo ne osservò l’incessante attività vulcanica.

Una condizione apparsa sicuramente singolare ai ricercatori australiani, che hanno esaminato il comportamento e l’adattamento della fauna ittica in presenza di naturali, elevati e prolungati livelli di anidride carbonica. Un ecosistema reale che può rappresentare un esempio su piccola scala dell’acidificazione degli oceani causata dall’aumento di CO2 e delle possibili conseguenze a lungo termine sulla biodiversità marina. Finora, infatti, gli studi si sono confrontati relativamente poco con ecosistemi esistenti in natura, riproducendo in laboratorio le condizioni che impoveriscono la vita nel regno degli oceani solo su singole specie.

Per tre anni, da marzo 2013 da maggio 2016, gli autori della ricerca hanno studiato i comportamenti dei pesci che vivono in prossimità di due camini vulcanici sottomarini nell’isola di Whakaari. Contemporaneamente, una zona limitrofa lontana dai condotti vulcanici è stata utilizzata per creare i gruppi di controllo. Durante questo periodo di tempo gli abitanti del mare sono stati filmati, classificati e contati. Da un’indagine puramente visiva è stata riscontrata una netta diminuzione della varietà ittica vicino alle zone ricche di CO2 rispetto al controllo: nove specie di pesci contro quattordici.
Tuttavia, la densità complessiva era più che doppia nelle zone d’acqua acide e, allo stesso tempo, si è visto sia dimezzato il numero di specie predatorie sia una maggiore densità di specie di piccole dimensioni rispetto al controllo. I ricercatori hanno rilevato una profonda diversità nella struttura delle comunità dei pesci tra le zone ricche di CO2 e le zone con un’acidità normale: le specie Fosterygion lapillum, Yaldwin’s, Blue-eyed e Crested blenny costituiscono il 92% del totale nelle zone di mare in prossimità dei due camini vulcanici di White Island rispetto al controllo.

Questo studio ha dimostrato come in assenza di adattamento, livelli elevati di anidride carbonica possano portare alla riduzione di ricchezza nella biodiversità marina a causa della prevalenza di una singola specie dominante. Un andamento evolutivo che spesso viene compensato dal processo di predazione da parte delle specie più grandi. Tuttavia, lo studio di Current Biology dimostra come un’eccessiva presenza di anidride carbonica, senza un adattamento che passi attraverso più generazioni, indebolisca la fase di riadattamento con conseguenze a cascata imprevedibili per la biodiversità locale. Secondo gli autori, i predatori sono fondamentali per evitare gravi danni alle future comunità biologiche marine e la tutela di queste specie passa in primo luogo da un’attività di pesca che sappia garantirne il rispetto.

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Federica Lavarini
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ho frequentato il master in Comunicazione della Scienza "Franco Prattico" alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA). Sono giornalista pubblicista e scrivo, o ho scritto, su OggiScienza, Wired, La Lettura del Corriere della Sera, Rivista Micron, Il Bo Live, la Repubblica, Scienza in Rete.