Vivere nel deserto: dai geni dei topi una speranza contro la disidratazione
Biologi ed etologi studiano da tempo le strategie comportamentali e i meccanismi fisiologici che consentono agli animali di vivere nei deserti nonostante le intense radiazioni solari e la mancanza d’acqua.
SPECIALE SETTEMBRE – Ogni anno milioni di persone muoiono per patologie connesse alla mancanza d’acqua. Ampie zone del pianeta si stanno desertificando a causa del riscaldamento globale e in futuro saranno sempre di più gli esseri umani esposti alla disidratazione. Aridi e inospitali, i deserti rappresentano una sfida per tutti gli organismi viventi. Eppure molti animali riescono a sopravvivere senza problemi alla carenza di risorse idriche e alle temperature estreme che caratterizzano questi luoghi. Finora si pensava che ciò fosse dovuto unicamente a un adattamento di tipo comportamentale o a meccanismi fisiologici, ma una recente ricerca dell’Università del New Hampshire ha dimostrato che la componente genetica svolge un ruolo cruciale nell’aumentare le chances di sopravvivenza di alcune specie. Nei geni dei topi del cactus (Peromyscus eremicus), piccoli roditori che vivono nelle aree desertiche del Nord e del Centro America, potrebbe nascondersi la soluzione a un’ampia varietà di patologie connesse alla disidratazione.
Biologi ed etologi studiano da tempo le strategie comportamentali e i meccanismi fisiologici che consentono agli animali di vivere nei deserti nonostante le intense radiazioni solari e la mancanza d’acqua. Alcuni mammiferi, per esempio, sono attivi solo al crepuscolo o nelle ore notturne e scavano lunghi cunicoli sotto la sabbia per allontanarsi il più possibile dalle temperature presenti in superficie; altri – come il citello dalla coda rotonda (Xerospermophilus tereticaudus), piccolo roditore che vive nei deserti di California e Arizona – vanno in estivazione, una sorta di letargo alla rovescia, nei periodi in cui il caldo è eccessivo e la vegetazione troppo asciutta. Varie specie di avvoltoi, invece, riescono a raffreddare la temperatura corporea grazie al meccanismo dell’uroidrosi, che consiste nell’urinare sulle proprie zampe in modo da rinfrescarle attraverso l’evaporazione. Le lepri del deserto (Lepus alleni), diffuse in Messico, dissipano il calore attraverso i numerosi vasi sanguigni presenti nelle loro orecchie, molto più lunghe rispetto a quelle delle lepri comuni.
E i topi del cactus? Questi piccoli mammiferi non sembrano soffrire il caldo intenso e sono in grado di sopravvivere a episodi di disidratazione cronica e acuta. Gli autori della ricerca – guidati da Matthew MacManes, professore di genetica all’Università del New Hampshire – erano convinti che i reni dei topi del cactus fossero strutturalmente diversi rispetto a quelli degli esseri umani, un po’ come le orecchie delle lepri del deserto. Hanno scoperto, invece, che la loro capacità di sopravvivenza non è legata a meccanismi fisiologici o a differenze strutturali, ma alle caratteristiche peculiari del loro corredo genetico. “Ci siamo accorti”, ha dichiarato MacManes, “che nei reni di questi animali, anche quando esposti a episodi di disidratazione acuta, non compare alcuna lesione, al contrario di quanto avviene negli esseri umani; ciò ci ha fatto ipotizzare che a impedire la formazione di danni renali diffusi possano essere i loro geni”.
Per capire come facciano i topi del cactus a sopravvivere in ambienti desertici, la ricerca del gruppo di MacManes, pubblicata lo scorso agosto su American Journal of Renal Physiology, è stata realizzata ricreando in un ambiente artificiale condizioni simili a quelle dei deserti. I topi, rimasti senz’acqua per 72 ore, hanno perso in media il 23 per cento del loro peso corporeo, una percentuale che sarebbe fatale per qualsiasi essere umano. Nell’uomo, infatti, una disidratazione anche lieve può compromettere in modo irreparabile il funzionamento dei reni. Il rene è il tallone d’Achille del nostro organismo, in caso di disidratazione è la prima parte del corpo a cedere. Pur notevolmente disidratati, i topi hanno continuato a essere attivi, a mangiare e a interagire normalmente con l’ambiente circostante. A differenza di quanto avviene negli esseri umani, negli animali sottoposti all’esperimento la creatinina e altri biomarcatori di lesioni renali hanno mantenuto valori abbastanza bassi, portando i ricercatori a ipotizzare che l’assenza di danni renali diffusi in questi animali sia da imputare a cambiamenti nell’espressione genica.
Il corredo genetico del topo del cactus presenta, in relazione ai geni analizzati in questo studio, numerosi punti di contatto con quello dell’Homo sapiens. È possibile dunque ipotizzare lo sviluppo futuro di farmaci e terapie in grado di proteggere il corpo umano dai danni derivanti dalla disidratazione. Un’applicazione come questa potrebbe essere utilizzata in svariati ambiti, per esempio a supporto delle truppe impegnate in operazioni nel deserto, ma soprattutto consentirebbe di ridurre drasticamente malattie e mortalità nelle aree del pianeta in cui le risorse idriche sono insufficienti.
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