Una “polvere magica” per costruire il supercomputer del futuro
Una quasiparticella per metà luce e per metà materia potrebbe essere il punto di partenza dei supercomputer del futuro. Si chiama polaritone e una “polvere magica” da essi costituita può rispondere ad alcuni dei problemi matematici più difficili e ancora irrisolti
TECNOLOGIA – E se per ottenere il supercomputer del futuro bastasse una “polvere magica” fatta di polaritoni? Questa la domanda a cui gli scienziati delle università di Cambridge, Southampton e Cardiff, in Gran Bretagna, e lo Skoljovo Institute of Science and Technology, in Russia, hanno risposto dimostrando che è possibile risolvere problemi complessi e superare in capacità e potenza di calcolo anche i supercomputer attualmente più potenti.
I polaritoni sono delle quasiparticelle che si comportano per metà come se fossero un bosone, e dunque materia, e per metà come se fossero un fotone, cioè luce. Proprio queste quasiparticelle agiscono come un “faro” che mostra la via per arrivare alla soluzione più semplice anche al problema più complesso che riuscite a immaginare.
Lo studio condotto da Natalia Berloff, professoressa del dipartimento di matematica e fisica applicata di Cambridge, e pubblicato sulla rivista Nature Materials, promette di porre le basi per un nuovo tipo di computer in grado di risolvere quei problemi che appaiono ancora senza soluzione, dalla modellazione delle proteine al comportamento dei mercati finanziari, dalla creazione di nuovi materiali fino al coordinamento di missioni completamente automatizzate inviate nello spazio più profondo.
Qualsiasi sia l’ambito, l’obiettivo resta uno solo: trovare le soluzioni ottimali del problema matematico e i passaggi necessari per arrivarvi. D’altronde, spiegano i ricercatori, trovare una soluzione ottimale è come cercare un punto di minimo in un terreno montuoso, fatto di valli, trincee e discese. Un ipotetico escursionista percorrendo questo terreno incontrerà un punto che ritiene il più basso dell’intero paesaggio, ma due passi più avanti potrebbe ritrovarsi a una discesa ancora più profonda e inaspettata. Una ricerca che, in questo modo, può diventare scoraggiante in uno spazio a 3 dimensioni, è ancora di più in uno spazio n-dimensionale, come sottolinea la Berloff:
“Questo è esattamente il problema da affrontare quando la funzione oggettiva da minimizzare rappresenta un problema nella vita reale con molte incognite, parametri e vincoli”.
Seppur potenti, gli attuali supercomputer presentano dei limiti. Nel caso di calcolo su una funzione a poche dimensioni, riescono a occuparsi solo di un piccolo sottoinsieme di problemi. Nel caso invece di funzioni a molte dimensioni, il calcolo richiede che la struttura sottostante del problema sia tale da permettergli di trovare velocemente la soluzione.
Cercare il minimo dunque è un lavoro arduo, ma la Berloff e i suoi colleghi hanno scelto di analizzare la situazione da un punto di vista radicalmente nuovo ponendosi la domanda: cosa accadrebbe se invece di muoversi lungo i terreni montuosi in ricerca dei punti di minimo, riempissimo il paesaggio circostante con una “polvere magica” che brilla nei punti più bassi, rivelando così facilmente la soluzione? Questa l’idea che ha contraddistinto il team di ricercatori, che raccontano:
“Qualche anno fa sono state 3 le riviste scientifiche che hanno rigettato quella che allora era ancora solo una teoria. Uno dei referee ci disse: ‘Chi sarebbe così pazzo da provare ad implementare questa teoria?!’. Così abbiamo dovuto farlo noi stessi e ora abbiamo provato con i dati sperimentali che avevamo ragione”.
C’è voluto del tempo, ma alla fine il team di ricercatori è riuscito nell’impresa. Prima di tutto ha utilizzato un laser per creare la loro “polvere magica” di polaritoni, sollecitandoli fino a raggiungere un nuovo stato della materia, noto come condensato di Bose-Einstein e dove la fase quantistica dei polaritoni si sincronizza e crea un singolo oggetto quantistico macroscopico che può facilmente essere rivelato con misurazioni fotoluminescenti.
Una volta trovata la giusta polvere, è stato il momento di trovare anche il paesaggio ideale. Gli scienziati infatti avevano il compito di creare un paesaggio che corrispondesse alla funzione di cui si vogliono studiare le soluzioni, ma che allo stesso tempo fosse abbastanza generico così che ogni altro problema correlato ad esso potesse essere a sua volta risolto. La scelta è ricaduta su un “classico” modello XY di Hamiltoniana, uno dei modelli fondamentali della meccanica statistica per lo studio di vortici, fornendo così una strada per studiare i superfluidi non convenzionali, i liquido di spin quantistico, le transizioni di fase Berezinskii–Kosterlitz–Thouless o ancora il magnetismo classico.
I ricercatori sono così riusciti a dimostrare che quando i polaritoni condensano, le loro fasi quantistiche si dispongono in configurazioni che corrispondono proprio al minimo assoluto della funzione che si sta studiando. Pavlos Lagoudakis, capo dell’Hybrid Photonics Lab dell’università di Southampton, ha concluso:
“Abbiamo solo iniziato a esplorare il potenziale dei grafici dei polaritoni per risolvere problemi complessi. Attualmente stiamo facendo scalare al nostro dispositivo centinaia di nodi, mentre testiamo la sua potenza di calcolo fondamentale. L’obiettivo finale è ottenere un microchip simulatore quantistico che operi in qualsiasi condizione ambientale”.
Un obiettivo che quando sarà raggiunto rappresenterà una vera e propria rivoluzione nel mondo informatico che conosciamo e che potrebbe dare vita a supercomputer anche più potenti dei computer quantistici. La risposta ai grandi problemi (matematici) potrebbe con questo nuovo studio arrivare molto prima di quanto ci aspettassimo.
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