Strategie biotecnologiche contro la malaria
In due studi pubblicati su Science i ricercatori descrivono di aver inserito nel genoma del batterio delle porzioni di DNA che servono a sintetizzare cinque potenti proteine antimalariche sviluppate in laboratorio.
SALUTE – Modificare il DNA della zanzara Anopheles, vettore del plasmodio che causa la malaria: è questo uno degli approcci studiati dai ricercatori per combattere la malattia infettiva che causa 400.000 morti ogni anno. Dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora arrivano ora nuove possibili strategie, che sfruttano in modi diversi i batteri intestinali della zanzara. I due studi sono stati pubblicati questa settimana su Science.
Il primo lavoro – guidato da Marcelo Jacobs-Lorena, ricercatore della JHSPH e membro del Malaria Research Institute) – ha individuato un ceppo di batteri che si trasmette facilmente tra le zanzare Anopheles. Una linea di ricerca si concentra infatti su batteri geneticamente modificati in grado di uccidere il plasmodio senza risultare dannosi per le zanzare: la sfida è proprio quella di fare in modo che i microorganismi si diffondano rapidamente da un insetto all’altro. Serratia AS1 – il ceppo descritto su Science – sembra perfetto per questo scopo perché viene trasmesso dai maschi alle femmine durante l’accoppiamento, e dalle femmine alla prole. Il ceppo, inoltre, è in grado di colonizzare l’intestino della zanzara, la sede dove si sviluppa il parassita.
I ricercatori hanno inserito nel genoma del batterio delle porzioni di DNA che servono a sintetizzare cinque potenti proteine antimalariche sviluppate in laboratorio. Hanno quindi osservato come, nelle zanzare che ospitavano questi batteri modificati, i livelli di plasmodio fossero ridotti del 90%. Esperimenti successivi hanno dimostrato che i ceppi batterici modificati non avevano avuto nessun impatto sulla fertilità o sulla durata della vita delle zanzare. La strategia sembra promettente sia perché i batteri utilizzati sono in grado di colonizzare la maggior parte delle specie di zanzara che trasmette la malattia, sia perché le proteine antimalariche agiscono sui più diffusi ceppi di parassita.
Nel secondo studio – guidato da George Dimopoulos, collega di Jacobs-Lorena presso la Bloomberg School – i ricercatori sono intervenuti direttamente sul DNA della zanzara, introducendo delle modifiche che hanno permesso di stimolare l’attività del sistema immunitario dell’insetto. Il risultato è stata una maggiore resistenza alle infezioni da plasmodio e quindi una minore probabilità che questo venga trasmesso all’uomo.
La scoperta interessante è anche in questo caso legata ai batteri che colonizzano l’intestino della zanzara. La risposta immunitaria non agisce, infatti, solo sul parassita ma influenza anche il microbiota dell’insetto, riducendo la carica batterica e alterando la composizione delle specie presenti. I ricercatori hanno poi scoperto che questo cambiamento dei batteri intestinali ha delle conseguenze sulle scelte riproduttive delle zanzare: i maschi di zanzare con genoma modificato preferiscono le femmine wild type e, viceversa, i maschi wild type preferiscono le femmine con genoma modificato. Come spiega Dimopoulos, questa variabilità negli incroci massimizza la probabilità che il genoma modificato venga trasmesso alle generazioni successive. I ricercatori, inoltre, sottolineano come in questo caso non siano stati introdotti dei geni esterni. La tecnica è quindi diversa da quella del gene drive, che altera le normali dinamiche dell’ereditarietà determinando la trasmissione dei nuovi geni nel quasi 100% della prole.
Per entrambi gli studi, il passaggio successivo prevede che gli esperimenti continuino nella Mosquito House che il Johns Hopkins Malaria Research Institute ha allestito nello Zambia per simulare un ecosistema naturale.
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