LIFE Praterie, quando la tutela degli ambienti montani passa per la dimensione umana
Va concludendosi nel Parco nazionale Gran Sasso e Monti della Laga il progetto LIFE Praterie. Cinque anni dedicati alla tutela delle praterie montane, per conciliare la presenza umana e la tutela ambientale.
SPECIALE OTTOBRE – Tutelare gli habitat di prateria per proteggerne gli ecosistemi e le specie, coinvolgendo tutte le professionalità – scientifiche e non – che lavorano e vivono nell’ambiente montano. Questo il cuore del progetto comunitario UE LIFE Praterie, che negli ultimi cinque anni ha coinvolto l’intero territorio del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (tra Abruzzo, Lazio e Marche) privilegiando un concetto importante di cui non si parla spesso ma è cruciale: la human dimension, cioè la dimensione umana.
Gli allevatori di bovini, equini e caprini che svolgono le proprie attività nel parco sono stati infatti interlocutori diretti dei conservazionisti, dei veterinari e dei biologi del parco: anche in base alle loro necessità, conciliate con quelle ambientali, sono state portate avanti le varie azioni del progetto.
Per “dimensione umana” nella conservazione dell’ambiente si intendono gli effetti che le azioni di tutela avranno sugli abitanti dell’area interessata e come queste impatteranno la loro vita e le loro attività. Gli spostamenti, il commercio, lo sviluppo urbano e, appunto, l’allevamento. Tenerne conto significa conciliare le necessità umane con gli obiettivi dei progetti, anche a scopo preventivo, in modo da non escludere nessuna delle parti che vivono il territorio in prima persona. Garantendo una convivenza pacifica.
Scontato? Affatto. Un ennesimo scontro tra dimensione umana e ambientale lo abbiamo visto pochi giorni fa nella zona del senese, dove due lupi sono stati uccisi e impiccati al cartello d’ingresso del paese di Radicofani. In Toscana è in corso un LIFE apposito, Medwolf, il cui obiettivo è proprio ridurre il conflitto tra la presenza del lupo e le attività umane.
Le politiche di conservazione del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, spiegano gli scienziati di LIFE Praterie, non possono più prescindere dalle attese e dalle problematiche di chi vive e opera nell’area protetta. Specialmente gli allevatori che “mantengono in vita l’ambiente montano e lo presidiano, sottraendolo all’abbandono”. Quello del parco è un territorio che ospita 15 000 allevatori, per un totale di 400 aziende zootecniche e 85 000 animali domestici tra equini, bovini e ovini.
Tutelare il bestiame e l’ambiente
Tra le necessità degli allevatori sul territorio del Parco c’è la tutela dalle predazioni ma anche l’esigenza di disporre di sufficienti stazioni per far abbeverare gli animali, anche in alta quota e in particolare nelle estati più calde e secche. Un’esigenza che si concilia con quella ambientale di evitare il sovrapascolo e il depauperamento delle praterie montane. Troppi animali in una stessa zona impoveriscono la vegetazione, rischiano di inquinare le poche fonti d’acqua sulle quali si concentrano e sono più a rischio di predazioni.
Così con i fondi UE sono stati creati e assegnati agli allevatori recinti anti-dirupo per bovini e cavalli, stazzi notturni elettrificati per proteggere le pecore, recinti di parto e molto altro. Il tutto per garantire la sicurezza di greggi e mandrie su tutto il territorio e poterlo sfruttare in modo omogeneo.
Per arrivare a queste azioni sono stati coinvolti alcuni veterinari che, con circa 900 sopralluoghi nelle varie aziende zootecniche, hanno valutato le cause di mortalità del bestiame e informato gli allevatori sulle buone pratiche di gestione. Protagonista dell’allevamento responsabile, specialmente per la tutela dei bovini al pascolo (8000 sul territorio, circa 1000 non hanno stalle per l’inverno) è il cane da pastore maremmano abruzzese. Un grosso cane fiero che dai primi attimi di vita riceve un condizionamento verso l’odore dei bovini, perché le femmine vengono fatte partorire nelle stalle, ed è così portato a tutelarli proprio come fossero di famiglia.
I bovini infatti sono più complessi, quando si tratta di gestione, rispetto agli ovini. A spiegarlo sono i veterinari del parco, Umberto Di Nicola e Franca Adriani. “Formano dei sottogruppi, composti al massimo da venti animali, che si disperdono sui pascoli salvo riunirsi in alcuni momenti della giornata, come l’abbeverata”.
In primavera vengono montate negli alpeggi le cosiddette “tendostrutture” per gli agnelli, ideate dallo zoonomo del Parco, Luca Schillaci. Servono per il ricovero dei piccoli e delle pecore gravide e finora ne sono state assegnate quasi 40 in comodato d’uso gratuito agli allevatori di ovini del parco.
Queste strutture facilitano la transumanza, aumentano la sopravvivenza dei nuovi nati e favoriscono il pascolo anche nelle zone più remote, spiega Schillaci. Hanno il merito “di destagionalizzare le produzioni, ma anche di migliorare il benessere animale, riducendo la mortalità degli agnelli e assicurando una protezione dalle intemperie oltre che dai lupi, senza contare l’impatto ambientale dei ricoveri di fortuna. C’è un incremento della qualità delle produzioni e una facilitazione del lavoro dei pastori”.
Dal laghetto ai fontanili
A beneficiare da questo approccio condiviso sono anche i laghetti d’alta quota e i loro abitanti, come il tritone cristato, un anfibio europeo che deve il suo nome alla vistosa cresta dorsale sfoggiata dai maschi. Questa specie in Italia vede ridotti gli habitat adatti alla riproduzione, specialmente a causa del territorio destinato all’agricoltura.
Quando troppe greggi e mandrie pascolano in prossimità di un laghetto e vi si abbeverano, inoltre, il rischio di inquinamento è dietro l’angolo come quello di eutrofizzazione: l’eccessivo apporto di nutrienti (per esempio nelle feci degli animali) causa il proliferare di alghe nel lago e degrada l’ambiente, che finisce per diventare poverissimo di ossigeno e inadatto a ospitare la vita. Sono sette i fontanili del Parco ora funzionanti e “restituiti” agli allevatori e ai loro animali per abbeverarsi: quattro erano già presenti e sono stati ristrutturati, tre sono stati costruiti appositamente nell’ambito del progetto.
Anche l’impatto umano – o per meglio dire turistico – diretto è stato mitigato con una serie di interventi nel Parco, in modo da ridurre il numero di persone che transitano sui percorsi e i sentieri più battuti. Sono stati riqualificati 70 chilometri di rete sentieristica nei tratti più degradati, in modo da renderli sicuri, agevoli da percorrere e facili da trovare per gli appassionati della montagna.
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