Particelle viventi e proprietà emergenti
Ovvero, come indurre in materiali inerti dei comportamenti simili a quelli degli esseri viventi, facendo in tal modo emergere proprietà del tutto inaspettate.
TECNOLOGIA – Animare dei materiali inerti, realizzando dei simulacri di creature viventi, è una fantasia umana assai antica, a partire dal mito di Prometeo, passando per il Golem ebraico, fino ad arrivare a Frankenstein di Mary Shelley. Tuttavia, almeno finora, a parte le creazioni letterarie o fantascientifiche, questo obiettivo è sempre stato considerato poco realistico.
Questo perchè non si consideravano le fantastiche proprietà che alcuni materiali, in opportune condizioni ambientali e sotto l’azione di stimoli appropriati, sono in grado di manifestare in modo del tutto inatteso.
Ne sa qualcosa una equipe di studiosi dell’Università di Emory, Atlanta, che ha di recente pubblicato sulla rivista Physical Review Letters alcuni risultati a dir poco sorprendenti.
L’articolo, dal titolo “Emergent Bistability and Switching in a Nonequilibrium Crystal”, tratta appunto di una cosiddetta proprietà emergente indotta in particelle di materiale plastico, consistente in un equilibrio giocato tra due differenti stati di aggregazione, ossia fluido e solido-cristallino.
Di che cosa si parla esattamente?
Un comportamento emergente, o proprietà emergente, nasce dall’interazione tra un elevato numero di agenti, caratterizzati da una struttura elementare, che cominciano a manifestare, quando organizzati in una collettività, dei comportamenti più complessi di quelli che si potevano evincere a partire dalle caratteristica del singolo agente.
Questo meccanismo, in larga parte ancora da comprendere, non è normalmente deterministico, bensì generalmente del tutto aleatorio, e sembra rappresentare un fattore chiave nei processi evolutivi che conducono da esseri organici semplici a individui dotati di complessità assai maggiore.
Un esempio su tutti: i neuroni del nostro sistema nervoso che, considerati singolarmente, hanno un comportamento decisamente assai elementare, con normalmente due soli possibili stati (‘attivo’ e ‘disattivo’), descrivibili quindi da semplici modelli matematici. Tuttavia, se organizzati in una fitta e interconnessa struttura, tali comportamenti semplici individuali determinano l’emergenza di proprietà talmente complesse da non trovare, a oggi, nessuna giustificazione rigorosa, come la autoconsapevolezza tipica degli esseri umani, o la loro capacità di provare sentimenti e manifestare empatia.
Torniamo alla ricerca condotta dal team di Atlanta: la proprietà indotta, in questo caso, è molto più semplice. Le particelle, sospese in una camera a vuoto, riempita di gas argon nello stato di plasma, hanno iniziato in modo del tutto imprevisto a oscillare tra due stati diversi di aggregazione, ossia fluido e solido-cristallino.
A un’osservazione diretta, i ricercatori hanno sperimentato un comportamento simile a quello di un essere dotato di vita propria, persistente anche quando l’ambiente esterno viene mantenuto in condizioni costanti, e quindi non più in grado di determinare, con la sua azione, una modifica dello stato delle particelle. In altri termini, il composto si è come animato.
Per dare un’idea di quale possa essere la portata di una tale scoperta si può far ricorso allo stesso esempio riportato in questo articolo: ognuno di noi ha sperimentato, una volta estratto un cubetto di ghiaccio dal freezer, il suo scioglimento a temperatura ambiente, ossia il passaggio dallo stato solido allo stato liquido. Quanto sarebbe sorprendente però se, in assenza di variazioni dei parametri ambientali (temperatura, pressione etc.) l’acqua tornasse ad aggregarsi in uno stato cristallino, ricostituendo il cubetto nella sua forma originale?
E questo, appunto, è il comportamento esibito dalla collettività di particelle plastiche in questione. Perchè tali proprietà emergenti si manifestino è, come già accennato, ancora largamente da indagare e da scoprire: ad esempio Luc Steels, ricercatore dell’Artificial Intelligence Laboratory della Vrije Universiteit di Bruxelles, ha proposto un modello secondo il quale un singolo ente semplice o componente della collettività esplicherebbe una sotto-funzione che non può essere identificata come una “parte” della funzione complessiva svolta dall’intero insieme, ma piuttosto come uno specifico comportamento individuale i cui effetti collaterali determinano, nell’interazione con gli altri enti semplici, l’emergenza della funzionalità globale.
Secondo Steels, grazie a proprietà similari i robot potrebbero in futuro inventare addirittura un loro linguaggio, come illustrato in questo video:
È di sicuro un’interpretazione affascinante e suggestiva, seconda la quale la nostra coscienza, creatività, emotività sono in effetti una sorta di risultato indiretto, quasi accidentale, dell’interazione di enti semplici (come, appunto, neuroni o particelle) che in realtà eseguono dei compiti elementari con finalità del tutto differenti e non correlate col comportamento globale della collettività in cui sono inserite.
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