Api robotiche e microrazzi
Un microrobot di ultima concezione ispirato al mondo degli insetti: non solo vola ma sa anche nuotare, e quando è immerso in acqua sa spiccare il volo per uscirne, con quelle che erano delle pinne e diventano ali.
TECNOLOGIA – Ormai chi si stupisce più di veder volare un drone che scatta fotografie durante un evento sportivo, un congresso o una cerimonia? Ora immaginate un drone molto più piccolo e leggero, delle dimensioni di un polpastrello, che sbatte le ali e le usa per muoversi sia in aria che in acqua. I ricercatori di Harvard la chiamano RoboBee, ape robotica. Un microrobot di ultima concezione ispirato al mondo degli insetti: non solo vola ma sa anche nuotare, e quando è immerso in acqua sa spiccare il volo per uscirne, con quelle che erano delle pinne e diventano ali. Qualcosa di impensabile per le api in natura, che la scienza ha fatto diventare realtà.
Le api robotiche sono allo studio già da alcuni anni presso il Wyss Institute dell’Università di Harvard, e i ricercatori ci avevano già sorpreso con una RoboBee che riesce a volare, aderisce alle superfici, si immerge in acqua. Ora RoboBee è diventata del tutto ibrida: vola, si immerge, nuota… per poi spingersi di nuovo fuori dall’acqua grazie a un vero e proprio propulsore, e atterrare. La nuova RoboBee è mille volte più leggera degli altri microrobot studiati, e potrà essere utilizzata per operazioni di ricerca e soccorso, oltre che per il monitoraggio meteorologico, climatico e ambientale.
La ricerca è raccontata nella rivista Science Robotics a firma di Yufeng Chen e dei suoi collaboratori, che lavorano all’interno del progetto RoboBee presso il Wyss Institute dell’Università di Harvard con contributi anche dell’Università della California, dell’Imperial College di Londra e dell’Università di Hong Kong.
Il modello più piccolo di RoboBee è grande circa la metà di una graffetta, e pesa un decimo di grammo. Vola grazie a una sorta di muscoli artificiali basati sulle proprietà dei materiali piezoelettrici: si tratta di materiali che si contraggono quando gli viene applicata una tensione elettrica esterna di controllo. Sistemi simili rientrano tra le tecnologie conosciute con l’acronimo MEMS (dall’inglese microelectromechanical systems): tutti i sensori di cui sono dotati i nostri smartphone sono tecnologie MEMS, inclusi accelerometri, giroscopi, sensori di pressione e di velocità, così come tutti quei sistemi che, su scala microscopica, integrano vari dispositivi meccanici, elettrici e elettronici su uno stesso substrato (tipicamente il silicio dei circuiti microelettronici) combinando svariate funzioni in uno spazio molto ridotto.
Per gli scienziati coinvolti, progettare un microrobot che possa muoversi fuori e dentro l’acqua è stato qualcosa di impegnativo e insieme stimolante. “RoboBee rappresenta un sistema in cui le forze fisiche sono diverse da quelle a cui noi siamo abituati nella nostra scala macroscopica” afferma il professor Robert Wood, che guida il gruppo di Harvard. “Per RoboBee, volare è come camminare sull’acqua; nuotare è come essere circondato da melassa. La forza data dalla tensione superficiale del liquido è per RoboBee un muro impenetrabile. Questi microrobot danno l’opportunità di esplorare questi fenomeni poco intuitivi in un modo del tutto nuovo”.
Per realizzare l’ultimo modello di RoboBee, un primo ostacolo è stata la differenza tra l’aria e l’acqua in termini di densità: l’acqua è mille volte più densa dell’aria. Pensiamo quindi alla piccola ape robotica che, sbattendo le ali, tenta di passare da un mezzo all’altro: la velocità delle ali nei due mezzi sarà molto diversa a causa dell’enorme differenza di densità incontrata. RoboBee non riuscirà a volare in aria senza sbattere le ali a una frequenza sufficientemente elevata. Viceversa, con una frequenza troppo elevata, all’interno dell’acqua le ali potrebbero spezzarsi.
Per risolvere il problema, i ricercatori hanno lavorato sia sul piano teorico sia sul piano sperimentale. Hanno realizzato dei modelli teorici per descrivere il comportamento del microrobot in diverse condizioni ambientali, per poi simularlo al computer cercando soluzioni di progettazione che risolvessero il problema. Allo stesso tempo hanno testato RoboBee in laboratorio, ottenendo risultati che aiutavano i modelli a essere sempre più accurati, avvicinandosi sempre più alle caratteristiche strutturali ottimali che permettessero a RoboBee di muoversi con continuità tra aria e acqua, e viceversa.
C’è poi un’altra sfida che i ricercatori hanno dovuto affrontare: quando il sistema che vogliamo studiare è grande poche manciate di millimetri o anche meno, le leggi fisiche vanno riconsiderate in proporzioni diverse da quelle del mondo macroscopico. La nuova RoboBee ibrida ha un corpo centrale che non supera il centimetro di lunghezza. Per un oggetto così piccolo, la superficie dell’acqua è come un muro di mattoni, impenetrabile.
Le molecole di acqua, infatti, esercitano l’una sull’altra una forza attrattiva, che alla superficie non è equilibrata: l’asimmetria fa raggruppare insieme le molecole del fluido creando la tensione superficiale, come se alla superficie ci fosse una membrana elastica la cui area tende ad essere la minima possibile. Tant’è che, se riempiamo un bicchiere di acqua fino all’orlo, possiamo appoggiare sulla superficie una graffetta o una monetina senza che queste affondino, perché sostenute proprio dalla tensione superficiale.
Nel caso di RoboBee, la tensione superficiale è più di dieci volte il peso del microrobot, e tre volte la sua capacità di sollevamento. L’idea è stata: perché non ricorrere a una sorta di microrazzo? I ricercatori hanno equipaggiato RoboBee con quattro galleggianti e con una camera centrale per raccogliere un gas propellente. Raggiunta a nuoto la superficie dell’acqua, una piastra elettrolitica all’interno della camera centrale trasforma l’acqua in ossidrogeno, una miscela di gas (idrogeno e ossigeno) combustibile. Il gas migliora il galleggiamento, spingendo le ali fuori dall’acqua, e i quattro galleggianti stabilizzano RoboBee sulla superficie. A questo punto una scintilla all’interno della camera innesca la combustione del gas, e il microrobot riesce a librarsi in aria.
Un vero prodigio della tecnologia microscopica, che secondo l’autore Chen apre una strada importante: “Siamo speranzosi perché il nostro lavoro nello studio delle configurazioni ottimali di peso e tensione superficiale siano di ispirazione in futuro per altri microrobot multifunzione, che possano muoversi in ambienti complessi, portando a termine piccole e grandi missioni”. Potete vedere il robot in azione in questo video.
Leggi anche: Robotica marina per svelare i segreti degli oceani
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.