SCOPERTE

Le potenti eruzioni “fredde” dei super vulcani

L'eruzione potentissima avvenuta 765mila anni fa dal super vulcano riscrive quello che sapevamo sui processi eruttivi: gli scienziati hanno trovato un deposito magmatico "freddo" al posto di quello incandescente che si aspettavano

“Quando abbiamo guardato in dettaglio i singoli cristalli, è stato chiaro che alcuni sono derivati dal magma che si è completamente solidificato, passando da una poltiglia a roccia”. Crediti immagine: U.S. Geological Survey

SCOPERTE – Cosa caratterizza una super eruzione vulcanica e quali sono i suoi segnali? A questa domanda hanno tentato di rispondere i geoscienziati della University of Wisconsin-Madison analizzando la super eruzione del vulcano situato nella Long Valley, in California, avvenuta circa 765mila anni fa. Studiando le formazioni rocciose della zona, gli scienziati hanno scoperto che l’eruzione ha emesso in una settimana oltre 760 chilometri cubi di lava e ceneri, un vero e proprio cataclisma vulcanico che ha ricoperto il cielo estendendosi per la metà del nord America e ha causato un raffreddamento del pianeta.

Se fino ad oggi i geologi ipotizzavano che, dietro a una violentissima esplosione come quella che ha formato la caldera Long Valley, ci fosse un deposito magmatico incandescente, la datazione dei cristalli della Bishop Tuff, una formazione di tufo situata nella caldera, ha dimostrato che il deposito di magma era ben più freddo di quanto atteso, proprio prima della super eruzione vulcanica. Una scoperta inattesa da parte del team guidato da Nathan Andersen e che potrebbe aiutare a capire quali sono le condizioni che portano a queste violente eruzioni.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), mostra come la roccia fusa che costituiva il corpo magmatico si trovava ad una temperatura di circa 400 gradi Celsius prima dell’eruzione, temperatura ben inferiore a quelle tra i 700 e gli 850 gradi Celsius necessari a innescare il fenomeno eruttivo, come spiega Andersen:

“Prima si riteneva che per un lungo periodo ci fosse un grande serbatoio di roccia fusa nella crosta, ma questa teoria sta passando. Ora possiamo ritenere che il magma sia immagazzinato per un lungo periodo in uno stato freddo, cristallino e incapace di produrre un’eruzione, dato che questo sistema dormiente ha bisogno di una grande infusione di calore per eruttare”.

Il meccanismo che fornisce al sistema vulcanico necessario all’eruzione non è chiaro, come sottolinea Andersen, ma la causa più probabile potrebbe essere una veloce risalita di roccia molto più calda dalle profondità terrestri.
Al posto di un gran serbatoio di roccia fusa a lungo termine, dunque, è più probabile trovare roccia solidificata i cui cristalli vengono incorporati poco prima dell’eruzione, con la condizione di fusione che al contrario di quanto ipotizzato in precedenza dura appena qualche decennio o al massimo pochi secoli.

Per gli scienziati dunque l’interno di questi super vulcani è costituito non da roccia fusa, ma piuttosto da una poltiglia in cui il contributo al processo eruttivo della roccia fredda è stato fino a oggi decisamente sottovalutato.

Gli scienziati si sono concentrati sulla datazione di cristalli provenienti dal Bishop Tuff, una formazione rocciosa di tufo che si è originata insieme alla caldera della Long Valley, e per farlo hanno utilizzato l’isotopo dell’argon. Questo elemento chimico è il prodotto del decadimento radioattivo del potassio e tende a sfuggire rapidamente dai cristalli caldi; la sua presenza, e dunque l’accumulo nei campioni osservati, implica che il corpo magmatico che contiene i cristalli non era uniformemente caldo prima dell’eruzione.

Utilizzando un nuovo spettrometro di massa ad alta precisione in dotazione al Geochronology Lab della University of Wisconsin-Madison, i geologi hanno così scoperto che i cristalli non avevano tutti la stessa data, ma le loro età variano in un intervallo di 16mila anni. Questo implica che la presenza di argon è precedente all’eruzione e soprattutto che le condizioni del corpo magmatico erano inaspettatamente fredde, come ha sottolineato Andersen:

“Il nuovo strumento è più sensibile del suo predecessore, dunque può misurare anche un volume di gas più piccolo con un’altissima precisione. Quando abbiamo guardato in dettaglio i singoli cristalli, è stato chiaro che alcuni sono derivati dal magma che si è completamente solidificato, passando da una poltiglia a roccia”.

Inoltre i ricercatori hanno scoperto che la metà dei cristalli ha iniziato a cristallizzare qualche migliaio di anni prima delle eruzioni e questo permette di datare il fenomeno eruttivo. La vera data dell’eruzione sarà quindi quella dei cristalli più giovani, come ha sottolineato il co-autore dello studio Brad Singer, professore di geoscienze alla UW-Madison e direttore del Geochronology Lab:

“È controverso, ma trovare questi cristalli più vecchi significa che parte di questo grande corpo magmatico era davvero freddo immediatamente prima dell’eruzione. Questo sfida molte leggi della termodinamica”.

Il risultato raggiunto dallo studio porta quindi a riscrivere quello che era stato ipotizzato per la termodinamica dei processi vulcanici eruttivi e fornisce importanti informazioni per capire dove e quando potrebbero verificarsi potenti eruzioni. Un risultato importante, che però è ancora ben lontano da una concreta capacità di predizione delle eruzioni vulcaniche. Anzi dimostra quanto ancora poco sappiamo di cosa accade in questi sistemi tra i 10 e i 1000 anni prima di un cataclisma.

Comprendere il processo pre-eruzione, o iniziare a svelarlo, ci permette quindi non solo di conoscere meglio e da vicino i grandi vulcani e le caldere, ma anche di fare importanti scoperte in campo geologico, biologico e climatico in tutti i continenti, come spiega Andersen:

“La coltre di cenere delle grandi eruzioni fissa il tempo. Più arriviamo vicini all’età dell’eruzione, meglio possiamo studiare tutte le sfaccettature della storia della Terra”.

@oscillazioni

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.