Papilloma virus: il suo DNA può trovarsi anche nel sangue
Il DNA virale può essere presente nel sangue di donne con papilloma virus ma che non hanno sviluppato ancora un tumore. Una scoperta che apre nuovi orizzonti nell’ambito dello screening cervicale.
SCOPERTE – Un gruppo di ricercatori italiani ha individuato il DNA del papilloma virus umano, o HPV, nel sangue di donne sane con una storia recente di infezione a livello genitale. È una scoperta molto rilevante, perché suggerisce che il DNA di questo virus può essere ritrovato non solo nelle mucose e nella pelle, come finora osservato, ma anche nel sangue. Sebbene si tratti di un risultato preliminare, questa scoperta indica una nuova direzione da seguire in futuro per meglio comprendere la storia naturale delle infezioni da questi virus.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista PLOS One, ed è stata condotta dai ricercatori di Microbiologia Clinica del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca, insieme ai colleghi di Ginecologia dell’ospedale San Gerardo (ASST Monza) e della Sezione di Igiene del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Sassari.
I papilloma virus sono un gruppo di virus molto diffusi. Ne esistono circa 200 diversi tipi in grado di infettare la nostra specie, causando nella maggior parte dei casi lesioni benigne, come verruche cutanee o condilomi genitali. Circa 40 di essi provocano infezioni genitali, che rappresentano le più frequenti infezioni nella popolazione sessualmente attiva. Solo 14 sottotipi di HPV, definiti ad “alto rischio”, sono stati associati all’insorgere di alcuni tumori, sia nella donna che nell’uomo, come quello della cervice uterina (cioè il collo dell’utero), della cavità orofaringea, della cavità anale e dei genitali esterni.
Fortunatamente nella maggior parte dei casi il nostro sistema immunitario può eliminare in modo spontaneo questi virus senza conseguenze sulla salute. Essere colpiti da HPV non significa infatti sviluppare un tumore: solo una piccola parte di queste infezioni, anche quelle causate dai tipi cosi detti ad “alto rischio”, si tramuta in cancro. Si calcola infatti che circa 3 donne su 4 abbia contratto una volta nella vita il papilloma virus, ma solo una piccolissima parte svilupperà il tumore.
“L’importante ruolo dei papilloma virus come causa di tumori sia nell’uomo che nella donna rende tuttavia necessaria una migliore conoscenza della storia naturale di queste infezioni. Questo permetterà di aprire nuovi orizzonti sia per una diagnosi precoce delle infezioni associate ad un maggior rischio di sviluppare tumori che agli interventi di prevenzione, per esempio attraverso il vaccino, importanti sia per le donne che per gli uomini”, spiega Clementina Cocuzza, docente di Microbiologia Clinica dell’Università di Milano-Bicocca e fra gli autori dello studio. “In questa direzione si inserisce la nostra ricerca, che ha voluto valutare se il DNA virale può essere riscontrato nel sangue di donne sane, cioè senza tumore, ma con una storia recente di infezione genitale da HPV. Su 120 donne riferite agli ambulatori di Ginecologia dell’ospedale San Gerardo di Monza, con una recente diagnosi di Pap-test positivo, nello screening per la prevenzione del carcinoma del collo dell’utero, la ricerca del DNA dei 7 sottotipi di HPV è risultata positiva nel sangue di 41 di queste donne, pari al 34 per cento, sebbene nessuna di loro fosse affetta da tumore della cervice”, continua Cocuzza.
Lo stesso Pap-test, che pure ha salvato molte vite, è in via di sostituzione con un altro test più predittivo: l’HPV-test che consiste nel prelievo di una piccola quantità di cellule dal collo dell’utero che vengono successivamente analizzate per verificare la presenza di DNA del papilloma virus. La modalità di prelievo è la stessa del Pap-test, ma la differenza è che l’HPV test è in grado di ricercare il DNA del virus e, a seconda del test, capire anche se è presente un sottotipo ad “alto rischio”.
“La vera differenza nella prevenzione dei tumori HPV correlati consiste nell’individuazione di nuovi biomarcatori di rischio”, conclude Cocuzza, “in grado di dirci quali, tra le tante donne infettate da HPV, è a maggior rischio, con il tempo, di sviluppare tumore . Inoltre l’introduzione dell’autoprelievo vaginale per la ricerca del virus permetterà di aumentare la partecipazione delle donne ai programmi di screening e prevenire un maggior numero di tumori del collo dell’utero. Una migliore adesione ai programmi di screening, l’utilizzo di nuovi biomarcatori virali di rischio insieme all’utilizzo del vaccino sono oggi le principali armi che abbiamo per combattere i tumori legati al papilloma virus.”
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